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Diabete felino: miti e verità nutrizionali

Dott.ssa Alessia Candellone

Il diabete mellito è una patologia endocrina molto comune nel gatto, con una prevalenza stimata intorno allo 0,20-1,25% nella popolazione felina globale. Negli ultimi anni, tuttavia, la patologia sembrerebbe essere in aumento. Ciò può riflettere, da una parte, una maggiore disponibilità da parte dei proprietari a sottoporre i propri gatti a cure veterinarie, portando ad una diagnosi precoce, ma dall’altra può essere legata ad un aumento dei principali fattori di rischio associati a questa malattia

Cosa si intende per diabete mellito?

Il termine “mellito” deriva dalla parola latina mellitus, aggettivo che rimanda al miele e alle sue caratteristiche, in particolare la dolcezza. Tale espressione fa riferimento al fatto che, in soggetti affetti da diabete, si verifica una perdita di glucosio attraverso le urine (glicosuria) le quali risultano, per l’appunto, zuccherine. La glicosuria è una conseguenza della incapacità da parte delle cellule dell’organismo di utilizzare il glucosio ematico, con conseguente sviluppo di iperglicemia.

In medicina umana e veterinaria esistono differenti forme di diabete mellito, le più comuni delle quali vengono definite come diabete di tipo I e di tipo II. Mentre il diabete di tipo I è prevalente nel cane, la tipologia che riscontriamo con maggior frequenza nella specie felina è il diabete di tipo II. Questa forma è conseguente ad una condizione acquisita nota come insulino-resistenza: l’incapacità delle cellule dell’organismo di utilizzare l’insulina per riduzione o alterazione dei recettori cellulari. Vi è una stretta relazione tra questo tipo di diabete ed alcuni fattori predisponenti quali il sovrappeso e l’obesità, lo stile di vita, alcuni errori alimentari: una corretta gestione dietetica svolge un ruolo chiave nello sviluppo e nel trattamento di questa malattia.

Diabete felino: fattori di rischio ambientali e nutrizionali

Parlando di fattori di rischio, sappiamo come sussista una predisposizione al diabete di tipo II nei gatti sterilizzati, di sesso maschile con età maggiore di 7 anni e che vivono indoor (ossia in appartamento, senza accesso a giardino o cortile).

La relazione esistente tra iperglicemia ed abitudini alimentari è invece più complessa ed ancora in fase di studio.
I fattori che senza dubbio sembrano aumentare il rischio di diabete includono il comportamento alimentare vorace e l’alimentazione ad libitum (non razionata) con conseguente maggiore apporto energetico che predispone all’incremento ponderale.

Diversi studi scientifici negli ultimi anni hanno cercato di fare chiarezza sulla questione. Hoenig e collaboratori (2007) hanno dimostrato che l’insulino-resistenza e la ridotta sensibilità al glucosio nei gatti siano associate all’obesità e come i gatti obesi abbiano una probabilità quattro volte superiore di sviluppare il diabete mellito rispetto ai gatti magri.
Lavori recenti, tuttavia, testimoniano come i proprietari di animali domestici sottovalutino la condizione corporea del loro gatto, non riconoscendo l’eccesso di peso come un problema di salute (di obesità e salute degli animali domestici abbiamo parlato qui)

Esiste un rapporto tra il diabete felino e i carboidrati introdotti con la dieta?

Una domanda che molti “gattofili” mi pongono in corso di consulenza nutrizionale è:

ma i carboidrati introdotti con la dieta possono aumentare il rischio di diabete mellito nei gatti?

Recenti studi scientifici hanno cercato di dare delle risposte in merito.
Si ipotizza, per esempio, che il consumo di quantità eccessive di carboidrati altamente raffinati e facilmente assorbibili (zuccheri semplici) determini nel gatto una sintesi inadeguata di insulina e che, nel corso del tempo, favorisca la deposizione di sostanza amiloide (sostanza di natura proteica che si accumula a livello extracellulare).

Questa teoria si basa sul dato, ormai assodato, che i gatti abbiano una capacità limitata di elaborare carichi di glucosio elevati, poiché sono caratterizzati da una efficiente gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi. Ciò rappresenta un adattamento metabolico e digestivo dei felini che sono classificati come carnivori stretti o supercarnivori.

I gatti, quindi, hanno una scarsa capacità di utilizzare gli zuccheri ai fini energetici e questo può determinare una condizione di iperglicemia persistente post-prandiale.
Appare inoltre sempre più evidente, nel paziente felino, la differenza tra il ruolo dei carboidrati dietetici nello sviluppo ed il ruolo dei carboidrati dietetici nella gestione del diabete mellito:

  • Sviluppo della malattia: gli zuccheri semplici dovrebbero essere sempre evitati, in quanto facilmente digeribili e facilmente assorbibili, mentre il ruolo dei carboidrati complessi, in particolare degli amidi è ancora in fase di studio.
  • Gestione nutrizionale del paziente già diabetico: non ci sono dubbi sulla necessità in questi casi di ridurre il tenore di carboidrati (estrattivi inazotati) al fine di migliorare il controllo clinico e la risposta alla terapia insulinica sostitutiva.

Frank e collaboratori (2001) hanno valutato gli effetti di una dieta con basso contenuto di carboidrati ed elevato contenuti in fibre in gatti diabetici. Gli autori hanno riscontrato la possibilità di dimezzare la dose giornaliera di insulina, senza perdita di controllo glicemico, tre mesi dopo il cambiamento dietetico.

In uno studio Mazzaferro e collaboratori (2003) hanno valutato l’effetto un inibitore della α-glucosidasi (acarbose) somministrato da solo o combinato con una dieta a basso contenuto di carboidrati in felini iperglicemici, riscontrando una diminuzione della dipendenza dall’insulina esogena e un miglioramento del controllo glicemico nel caso della associazione tra terapia farmacologica e trattamento dietetico.

In un altro studio, 60 gatti diabetici divisi in due gruppi sono stati nutriti con una dieta a maggiore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 1, Estrattivi Inazotati, E.I. 26%) o ad una dieta a minore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 2, Estrattivi Inazotati 12%). I gatti nutriti con la dieta 2, a minore contenuto in Estrattivi Inazotati, avevano maggiori probabilità di entrare in remissione diabetica alla sedicesima settimana rispetto ai gatti nutriti con la dieta 1. Questi studi dimostrano che uno dei fattori determinanti per la remissione della patologia sia stato il livello complessivo di Estrattivi Inazotati della dieta.

La filaria nelle altre specie

Il ricorso a cibi umidi potrebbe essere vantaggioso nei soggetti diabetici perché il relativo processo produttivo consente l’inserimento di minori quantitativi di Estrattivi Inazotati nella formulazione.

La consulenza nutrizionale per la gestione del diabete mellito nei gatti

Secondo le linee guida ISFM (International Society of Feline Medicine) sulla gestione pratica del diabete mellito nei gatti, le diete umide a basso contenuto di carboidrati formulate per gestire il diabete felino sono l’opzione preferita, anche se le prove di ricerca a supporto di questa raccomandazione siano ancora limitate.
L’adozione di diete personalizzate, eventualmente in regime casalingo o misto, è pertanto fortemente raccomandata nei gatti diabetici.
Possono essere infatti formulati piani nutrizionali specifici per i casi di diabete felino, contenenti elevati tenori proteici di proteine di adeguato valore biologico (tagli muscolari nobili di carne), senza amidi o contenenti carboidrati complessi a basso indice glicemico, e caratterizzati da un buon mix di fibre (solubili e insolubili), utili a gestire il peso corporeo ed il controllo della glicemia.
La perdita di peso è da considerare un obiettivo prioritario per i gatti diabetici obesi e può essere ottenuta utilizzando una dieta a basso contenuto di calorie e grassi e ad elevato contenuto di fibre.