Quando fare il richiamo del vaccino per cane e gatto? Ci aiutano i test anticorpali

Da sempre siamo abituati a recarci dal veterinario ogni anno per il richiamo del vaccino per il nostro cane o il nostro gatto.
Negli ultimi anni, tuttavia, sono stati condotti alcuni interessanti studi dai quali emerge che la frequenza di vaccinazione contro le malattie infettive può essere ridotta.
Anche le linee guida elaborate dalla WSAVA (World Small Animal Veterinary Association) sostengono che grazie a una corretta vaccinazione in  cuccioli e gattini si crea una solida immunità. Quando ciò avviene gli anticorpi contro la maggior parte delle malattie infettive permangono nel circolo sanguigno a livelli tali da essere considerati protettivi per circa 3 anni.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e come possiamo stabilire per quanto tempo sono davvero efficaci le vaccinazioni.

Il richiamo del vaccino per il cane

La WSAVA classifica i vaccini in base alla gravità delle malattie che prevengono. Abbiamo quindi vaccini

  • core : quelli contro malattie molto gravi e verso cui dovrebbero essere vaccinati gli animali di tutto il mondo. Nel cane i vaccini core sono quelli contro cimurro, Adenovirus canino e Parvovirus canino.
  • non core : quelle vaccinazioni che vanno effettuate solo in determinate aree geografiche, a seconda del rischio di quell’animale di contrarre tale malattia.

La WSAVA consiglia di eseguire la prima vaccinazione core non prima della 6°-8° settimana di vita del cucciolo. Prima infatti il cucciolo è protetto, dal momento che nel circolo sanguigno del cucciolo sono ancora presenti numerosi anticorpi materni trasmessi nelle prime ore di vita attraverso il colostro.

Alla prima somministrazione devono quindi seguire dei richiami vaccinali ogni 2-4 settimane fino ai 4 mesi di vita del cucciolo. Infine un ultimo richiamo si effettua intorno ai 6 o 12 mesi di vita. Conclusa questa prima tranche di vaccinazioni il cucciolo acquisisce una solida immunità che resisterà per molti anni senza necessità di eseguire ulteriori vaccinazioni.

Per quanto riguarda il richiamo del vaccino dopo l’anno di età, il consiglio è di vaccinare una volta all’anno contro le malattia batteriche (ad esempio contro la Bordetella, spesso responsabile delle stizzose tossi autunnali, e contro la Leptospirosi, una malattia che può essere trasmessa anche all’uomo e che trova nei roditori il principale veicolo di diffusione) mentre per i vaccini core sarà necessario un richiamo ogni 3 anni.

Il richiamo del vaccino per il gatto

I vaccini considerati core nel gatto sono quelli contro i virus della panleucopenia felina, l’Herpesvirus felino e il Calicivirus.

Anche per i gattini valgono le stesse indicazioni che abbiamo fornito per i cuccioli: iniziare con il primo vaccino non prima delle 6-8 settimane di vita ed effettuare un richiamo vaccinale ogni 2-4 settimane fino ai 4 mesi di vita del gattino. Seguirà infine un ultimo richiamo ai 12 mesi di vita del gattino.

Per i richiami, la WSAVA divide i gatti in soggetti ad alto e basso rischio:

  • gatti ad alto rischio di contrarre malattie infettive: sono quelli che hanno possibilità di uscire di casa e incontrare/scontrarsi con altri gatti
  • gatti a basso rischio: sono gli esemplari che vivono unicamente in casa.


Per i soggetti a basso rischio il consiglio è di eseguire una vaccinazione di richiamo ogni 3 anni. Proprio in questo caso è importante, quindi, eseguire una visita annuale e magari ricorrere ad un test anticorpale che ci confermi il persistere dell’immunità del paziente. Questo passaggio è necessario perché anche i gatti di casa potrebbero avere bisogno di ricovero e degenza, trovarsi magari malati in clinica con basse difese immunitarie e vicini ad altri animali.

Invece per i gatti che escono e hanno contatti con altri è consigliata una vaccinazione di richiamo annuale contro Herpesvirus e Calicivirus e ogni 3 anni contro la panleucopenia felina.
Merita un discorso a parte la vaccinazione contro la leucemia felina (FeLV): anche se questo vaccino è classificato come non core alle nostre latitudini risulta fortemente consigliato per tutti i gatti che hanno possibilità di uscire all’esterno. Per garantire una corretta immunità sono necessarie 2 dosi di vaccino somministrate a 2-4 settimane di distanza, a partire da non prima delle 8 settimane di età.

I test anticorpali: cosa sono e a cosa servono

Oggi esistono dei test anticorpali per la determinazione degli anticorpi nei confronti di ParvovirusCalicivirus ed Herpesvirus nel gatto e per Cimurro, Epatite infettiva e Parvovirosi nel cane. Per eseguire il test basta un prelievo di sangue.

Lo scopo di questi test è valutare lo stato di immunità dei cani e dei gatti riguardo agli agenti patogeni: li usiamo per determinare il titolo di IgG ( = immunoglobuline, ovvero anticorpi) prima e dopo la vaccinazione e valutare così la durata dell’immunità.

In pratica questi test ci aiutano

  • prima di ricorrere al richiamo del vaccino per il cane o il gatto, per sapere se e quando sia necessario
  • dopo aver effettuato il vaccino (specie se si tratta di cuccioli) per valutare il titolo anticorpale e capire quindi se la vaccinazione “è andata a buon fine”, facendo produrre al paziente un adeguato numero di anticorpi.

Infine due precisazioni: la prima è che non ci sono evidenze circa la potenziale pericolosità della ripetizione annuale della vaccinazione anziché la sua ripetizione ogni 3 anni, salvo per quei soggetti in cui sia nota una sensibilità agli antigeni virali/batterici o agli eccipienti della preparazione vaccinale che viene inoculata.

Questo significa che, salvo casi particolari, non è pericoloso per i nostri animali ripetere la vaccinazione anche con maggior frequenza di quanto necessario. Tuttavia, come ricordano le linee guida stabilite dalla WSAVA, ogni scelta in quest’ambito dev’essere valutate dal Medico Veterinario di caso in caso e non ci sono procedure standard che valgano in assoluto per tutti.

Parlane con il medico

Il ricorso ai test anticorpali è uno strumento molto utile per valutare in modo più approfondito lo stato di salute dei nostri amici animali, l’efficacia delle vaccinazioni fatte e la necessità di ricorrere a un richiamo. In questo senso il rapporto con il vostro medico veterinario è sempre determinante, proprio perché può darvi indicazioni specifiche riguardo alle esigenze di ogni singolo paziente e tutelarne così al meglio il benessere.

Quando serve il ricovero veterinario: come funziona il reparto degenza di una clinica

Quando serve il ricovero veterinario: come funziona il reparto degenza di una clinica

La parola allo specialista

Dott.ssa Sara D'Agostino

Animali non convenzionali

Il reparto di degenza è strutturato per poter accogliere e ricoverare pazienti con necessità specifiche di cura.
Il ricovero veterinario per i nostri amici a quattro zampe è infatti consigliato quando le loro condizioni cliniche non sono stabili e, nei casi più gravi, ne compromettono la sopravvivenza.

Può anche essere utile per gestire situazioni meno gravi: ad esempio per pazienti che attendono un intervento chirurgico, nel post-operatorio o per la somministrazione di terapie che non si possono eseguire a casa.
In clinica abbiamo anche la possibilità di effettuare dei ricoveri in Day Hospital per eseguire vari esami diagnostici. Durante questa esperienza si cerca sempre di soddisfare le necessità di ogni specie, dalla più piccola alla più grande: cani, gatti, conigli e altri piccoli mammiferi.. ma anche rettili ed uccelli.

Quando serve e come funziona il ricovero veterinario

Durante il periodo di degenza l’animale viene ricoverato in un box attrezzato a poterlo ospitare. La regola più importante per una buona degenza è quella di creare uno spazio tranquillo, sereno, luminoso e confortevole. Questo contribuisce per quanto possibile a ridurre lo stress a cui i nostri pazienti sono già sottoposti a causa della patologia in atto e gli consente, per quanto possibile, rilassarsi. Tutelare il loro benessere serve anche a favorire una più rapida guarigione.

Al momento del ricovero in reparto viene compilata una scheda identificativa con tutti i dati del paziente; la scheda del ricovero veterinario viene aggiornata ogni giorno con le terapie e le procedure diagnostiche necessarie (esami del sangue, radiografie, ecografie ecc..) stabilite di volta in volta dal medico responsabile.
Ciascun animale viene rivalutato e monitorato dal personale veterinario e dalle infermiere in modo costante attraverso la visita completa e il monitoraggio dei parametri clinici più volte al giorno, in base alle condizioni. Questa procedura ci permette di valutare l’evolversi della patologia e agire in modo tempestivo.

Il personale è presente nel reparto degenza 24 ore su 24, anche di notte e garantisce costantemente cure adeguate ai pazienti.

Specie diverse, esigenze diverse

Ogni tipologia di paziente ha esigenze ambientali diverse, quindi è importante per il loro benessere psicofisico organizzare i box in modo corretto e gestire al meglio gli spazi al loro interno.

I box hanno dimensioni differenti a seconda della tipologia di paziente che ospitano (cane, gatto o animale esotico), sono tutti dotati di chiusure antifuga e sono in acciaio inox per semplificare l’igienizzazione e la disinfezione giornaliera. In più, per ulteriore comfort dei pazienti, dotiamo i box di coperte che vengono cambiate, lavate ed igienizzate ogni giorno, ciotole per cibo e acqua, lettiere ecc.

Ma per quanto si possa creare un ambiente confortevole il ricovero può essere fonte di stress. Questo è vero soprattutto per i gatti, che soffrono maggiormente l’essere lontani dal loro ambiente domestico e dal nucleo familiare, e per gli animali esotici che già normalmente richiedono un ambiente particolare, idoneo alla specie.

Ai cani sono dedicati i box più ampi e, se le condizioni cliniche lo permettono, vengono portati in passeggiata più volte al giorno sia dal personale della clinica che dai proprietari stessi durante la visita, per permettere di espletare i loro bisogni fisiologici e per stare un po’ all’aria aperta.

I gatti sono sistemati in box più piccoli, dotati di lettiere e ciotole, con a disposizione delle coperte extra che utilizzano per nascondersi, in modo da farli sentire maggiormente tranquilli e protetti.

Infine gli animali più piccoli come ad esempio criceti, ratti, cavie o conigli vengono sistemati in piccole gabbie con vari arricchimenti ambientali per rendere il ricovero meno stressante.

Quando invece i pazienti sono impossibilitati nei movimenti, non possono essere portati in passeggiata o non sono in grado di utilizzare la lettiera ricorriamo all’utilizzo di griglie e traversine assorbenti, che permettonio di mantenere un costante stato igienico. Inoltre i pazienti vengono spazzolati e puliti ogni giorno, anche per poter instaurare un rapporto di fiducia con gli stessi ed abbassare i livelli di stress.

Le cure durante il ricovero veterinario

Gli animali che si trovano in ricovero veterinario sono ovviamente messi in condizione di effettuare fluidoterapia e farmacoterapia personalizzata in base alle loro esigenze mediche. In reparto abbiamo a disposizione tutti gli strumenti essenziali: pompe a infusione per la fluidoterapia, farmaci, strumenti per rilevare i parametri vitali (pressione sanguigna, temperatura, glicemia ecc) ed apparecchi per l’ossigenoterapia.

Ma soprattutto nel reparto degenza è sempre presente il personale medico veterinario e paramedico, che è in grado di fornire una risposta immediata e di qualità ai pazienti, sopratutto in caso di gravi patologie.

Quando e come avviene il primo contatto?

Il personale medico cerca sempre di empatizzare con il paziente: costruire una relazione è importante per rendere la loro permanenza meno stressante possibile e stabilire un rapporto di fiducia che facilita manipolazioni e terapie. Questo vuol dire rispettare la loro ampia diversità, che è ciò che ci affascina, attrae e conquista.

Il primo contatto con il paziente avviene già in sala visita da parte sia del medico che del tecnico veterinario; in questo frangente gli animali possono infatti provare e manifestare diverse emozioni e sensazioni. Tra queste l’impossibilità di fuggire da un ambiente sconosciuto che può sfociare in aggressività.

In ogni caso un approccio graduale è la scelta migliore da fare tutte le volte in cui sia possibile. I nostri amici a quattro zampe hanno infatti uno specifico galateo di approccio che utilizzano anche con noi. I comportamenti ed i segnali che ci mostrano, ci aiutano ad interpretare il loro stato d’animo … imparare a percepirli e comprenderli è ciò che permette al personale medico di evitare scontri ed approcci aggressivi e rendere il periodo di ricovero veterinario un’esperienza positiva.

Tuttavia non ci si deve stupire o preoccupare se talvolta questo approccio non è possbile. Le situazioni di emergenza esigono di intervenire velocemente e con prontezza: salvaguardare la loro vita e stabilizzare le condizioni cliniche diventa prioritario.

Cosa può fare il proprietario quando il proprio animale è ricoverato?

Durante un ricovero veterinario è possibile fare visita al proprio animale nel reparto di degenza in orari definiti e concordati con il personale del reparto stesso. È possibile anche avere notizie telefoniche sullo stato di salute generale, sugli esiti degli esami e sulla progressione della patologia. Il personale medico è a disposizione per ogni aggiornamento, confronto e consulto.

Le visite sono garantite sopratutto in caso di pazienti con situazioni di salute gravi o critiche e i proprietari possono lasciare coperte ed oggetti personali per rendere il box in cui vengono ospitati il più accogliente possibile.

Se durante la visita sentite suonare qualche strumento, non allarmatevi!… sono studiati per poter seguire delle procedure farmacologiche personalizzate ed essere rivalutate e riviste dal personale in ogni momento.

E se li trovate a proprio agio? Non sarebbe la prima volta! Spesso i proprietari si stupiscono di quanto i propri animali siano traquilli in box e accettino le manipolazioni mediche … ma anche questo è parte del nostro mestiere, che svolgiamo con passione e competenza. Se ne accorgono anche in pazienti!

Per tutti questi motivi vi invitiamo ad affrontare sempre con la maggior serenità possibile la prospettiva di un ricovero veterinario, e di rivolgervi sempre con fiducia al vostro medico di riferimento.

L’insufficienza renale nel gatto: capire per curare

Una patologia insidiosa, purtroppo piuttosto frequente tra i gatti, specie se anziani, e dalle serie conseguenze: si tratta dell’insufficienza renale, acuta o cronica.  Possiamo fronteggiarla grazie alla conoscenza, al monitoraggio e a una corretta gestione terapeutica; tutti aspetti per cui si rivela fondamentale una buona sinergia tra medico veterinario e proprietario. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, come possiamo diagnosticarla e affrontarla

L’insufficienza renale nel gatto: di cosa si tratta

Con il termine “insufficienza renale” si indica l’incapacità dei reni di svolgere le proprie funzioni che sono numerose e fondamentali per la salute dell’organismo.
Tra queste ci sono la regolazione di alcuni ormoni, la regolazione di elettroliti e dell’equilibrio idrico del corpo e la rimozione di numerose tossine dall’organismo attraverso un processo di filtrazione del sangue che ha come risultato finale la produzione di urina.
L’insufficienza renale può insorgere in modo acuto oppure cronico. Quest’ultima è la forma più comune nel gatto, con prevalenze sulla popolazione totale che variano tra l’1,6% a oltre il 30% a seconda degli studi.
Gatti di tutte le età possono essere interessati anche se si riscontra maggiormente nei pazienti sopra i 7 anni di età.

Quali sono le cause?

Alcune delle cause che provocano insufficienza renale nel gatto possono essere:

  • malattie infettive (es. pielonefriti batteriche, FIP, FeLv, …)
  • malattie metaboliche e infiammatorie
  • malattie neoplastiche (es. linfoma)
  • malattie congenite (es. rene policistico, una condizione comune nel gatto Persiano o Himalayano)
  • calcoli vescicali o ureterali
  • assunzione di farmaci o tossici (non è il caso delle forme croniche ma è bene ricordare che ad esempio il Giglio è una pianta che se ingerita induce tossicità renale acuta e fatale nel gatto!!!).

Questo vale soprattutto per le forme acute.
Invece la causa scatenante nelle forme croniche è raramente individuabile: si tratta infatti di un processo che si sviluppa lentamente nel tempo. Una volta instauratosi il danno renale, anche se la causa primaria non è più presente, si innescano dei meccanismi per cui diventa persistente e progressivo.

I segni clinici dell’insufficienza renale

Come per tutte le patologie che si sviluppano lentamente, i segni clinici dell’insufficienza renale cronica meritano particolare attenzione, perché possono insorgere in maniera insidiosa, non essere facilmente riconoscibili da parte del proprietario e portare a ritardi nella diagnosi e nel trattamento.

Comunemente si osserva aumento marcato della sete e della produzione di urine, perdita di peso, pelo opaco, letargia e calo dell’appetito. Altri sintomi, nelle forme più avanzate, possono essere disidratazione, vomito, diarrea o costipazione, difficoltà respiratorie e debolezza marcata.

Proprio perché i sintomi non sono sempre facili da individuare è importante eseguire esami di routine nei gatti adulti e anziani, che ci aiutano ad individuare precocemente la malattia prima della comparsa di segni clinici.

Come diagnosticare l’insufficienza renale nel gatto

La diagnosi di insufficienza renale si basa principalmente sul riscontro agli esami del sangue dell’aumento di creatinina ed urea; per essere indicativo di insufficienza renale cronica il loro aumento dovrebbe durare da almeno tre mesi. Queste sostanze, prodotte dal metabolismo dell’organismo, sono normalmente eliminate attraverso il rene e un loro aumento è indicativo di una compromissione di almeno il 75% della funzionalità renale.
Perciò si tratta di marker “tardivi” di patologia: questo significa che, nel momento in cui si alzano, purtroppo gran parte del rene è già compromessa.
Più di recente è stato introdotto un altro parametro di laboratorio chiamato SDMA che, in caso di ridotta funzionalità renale, aumenta precocemente rispetto a creatinina e urea.

Anche l’esame delle urine ci può fornire indicazioni importanti sulla salute del nostro gatto e dei suoi reni: il peso specifico fornisce indicazioni sulla capacità del rene di concentrare le urine ed è importante identificare l’eventuale presenza di proteine perse in eccesso attraverso il rene compromesso (proteinuria).

Per giungere a una diagnosi è necessario inoltre che il veterinario effettui una visita clinica attenta e completa che comprenda anche il monitoraggio della pressione arteriosa.

Altrettanto importante è eseguire:

  • esami del sangue completi
  • esame ecografico dell’addome
  • studio radiografico del torace
  • esame batteriologico delle urine
  • altri esami collaterali (es. citologie d’organo, test per malattie infettive, …)

Questo ha lo scopo di:

  1. cercare di individuare, anche se non sempre possibile, la causa scatenante
  2. individuare eventuali complicanze legate all’insufficienza renale, ad esempio: aumento della pressione arteriosa, alterazione degli elettroliti (es. aumento dei fosfati e del calcio), presenza di proteinuria (perdita eccessiva di proteine attraverso le urine) e anemia.
  3. verificare la presenza di eventuali malattie concomitanti (molto comuni vista l’età avanzata degli animali in cui si riscontra l’insufficienza renale)

Avere un quadro completo della situazione clinica del gatto al momento della diagnosi è fondamentale per una corretta gestione. L’insufficienza renale cronica è una patologia progressiva nel tempo ma una corretta gestione terapeutica della stessa e di eventuali malattie concomitanti può rallentarne lo sviluppo, ridurre le complicanze e garantire una buona qualità di vita al paziente.

Come affrontare l’insufficienza renale del gatto? La corretta gestione terapeutica

Nei casi in cui la diagnosi ci permette di identificare una causa specifica per l’insufficienza renale possiamo instaurare una terapia mirata.

Tuttavia nella maggior parte dei casi la terapia è rivolta a supportare il paziente e ridurre segni clinici e complicanze. In particolare la gestione terapeutica si basa su:

La dieta

L’alimentazione ideale dovrebbe avere un apporto proteico bilanciato, integrazione di vitamine, antiossidanti, acidi grassi omega3 e potassio.
Esistono numerose diete commerciali ideali per questi pazienti; in alternativa un’alimentazione casalinga può essere presa in considerazione solo se formulata da un veterinario esperto in nutrizione. Inoltre, se il fosforo nel sangue risulta elevato è possibile somministrare farmaci che svolgono funzione chelante, ossia possono legarsi al fosforo presente nel cibo e consentire all’organismo di espellerlo.

I fluidi

Fanno parte della gestione terapeutica di questa patologia l’aumento dell’apporto idrico e la supplementazione di fluidi. È importante favorire una maggiore assunzione di acqua da parte del gatto, sia somministrando cibo umido (se gradito) sia fornendo sempre acqua fresca e corrente a disposizione (es. con l’uso di fontanelle).
Se questo non basta è possibile integrare la quota idrica con fluidi somministrati per via sottocutanea; prima di farlo è sempre indispensabile consultare il veterinario…non sempre i fluidi sono necessari e se in eccesso possono essere dannosi!

Terapie mediche

  • terapia medica per l’ipertensione sistemica se presente
  • terapia medica per la proteinuria se presente
  • terapia medica sintomatica se sono presenti sintomi gastro-enterici
  • terapia con Eritropoietina o Darbepoetina se presente grave anemia

È inoltre fondamentale interrompere qualsiasi farmaco potenzialmente nefrotossico precedentemente assunto.

La prognosi per l’insufficienza renale cronica nel gatto: aspettativa e qualità della vita

La prognosi è ovviamente legata alla gravità della patologia. Seguendo le indicazioni delle linee guida internazionali possiamo classificare ogni paziente con insufficienza renale cronica in 4 stadi in base al valore di creatinina e in sottogruppi in base alla presenza o meno di ipertensione sistemica e proteinuria. Questa classificazione, oltre ad essere utile nel trattamento, aiuta a stabilire la prognosi per ogni paziente.
In particolare dagli studi emerge che gatti classificati in stadio II (con valori di creatina tra 1,6 e 2,8mg/dl) hanno un’aspettativa di vita di 3 anni mentre gatti in stadio IV (con valori di creatinina superiori a 5mg/dl) hanno una prognosi di poco più di un mese.

Certamente esistono molte variabili individuali, questi numeri non devono essere presi alla lettera ma ci aiutano a classificare la patologia, determinarne la gravità e monitorarne la progressione.

È stato inoltre dimostrato come gatti con insufficienza renale che seguono un’alimentazione adeguata abbiano tempi di sopravvivenza significativamente maggiori rispetto a quelli che non la seguono.
La prognosi risulta poi essere migliore nei pazienti in cui la proteinuria viene ridotta con terapia medica. E ancora: la gestione dell’ipertensione sistemica, seppur nel gatto non sia stata dimostrata essere un fattore di rischio, migliora la qualità di vita dei pazienti.

Proprietari e veterinari insieme per fronteggiare al meglio l’insufficienza renale cronica nel gatto

L’insufficienza renale cronica, sviluppandosi lentamente nel tempo, può essere una malattia inizialmente insidiosa con sintomi difficilmente riconoscibili dal proprietario. Soprattutto nei gatti anziani esami ematologici e delle urine di routine ogni 6-12 mesi sono indispensabili per individuare precocemente la patologia ed intervenire per rallentarne lo sviluppo.

Una volta stabilita la diagnosi è importante seguire le indicazioni del medico veterinario ed effettuare visite ed esami di controllo a cadenza regolare (stabilita in modo individuale) per monitorare la progressione della patologia, modificare la terapia e gestire le eventuali complicanze al fine di garantire una buona qualità di vita al gatto.

Il ruolo del medico veterinario e del proprietario, svolti in sinergia e piena collaborazione, sono determinanti per assicurare al gatto che soffre di insufficienza renale cronica una maggior durata e migliore qualità della vita.

Diabete felino: miti e verità nutrizionali

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Il diabete mellito è una patologia endocrina molto comune nel gatto, con una prevalenza stimata intorno allo 0,20-1,25% nella popolazione felina globale. Negli ultimi anni, tuttavia, la patologia sembrerebbe essere in aumento. Ciò può riflettere, da una parte, una maggiore disponibilità da parte dei proprietari a sottoporre i propri gatti a cure veterinarie, portando ad una diagnosi precoce, ma dall’altra può essere legata ad un aumento dei principali fattori di rischio associati a questa malattia

Cosa si intende per diabete mellito?

Il termine “mellito” deriva dalla parola latina mellitus, aggettivo che rimanda al miele e alle sue caratteristiche, in particolare la dolcezza. Tale espressione fa riferimento al fatto che, in soggetti affetti da diabete, si verifica una perdita di glucosio attraverso le urine (glicosuria) le quali risultano, per l’appunto, zuccherine. La glicosuria è una conseguenza della incapacità da parte delle cellule dell’organismo di utilizzare il glucosio ematico, con conseguente sviluppo di iperglicemia.

In medicina umana e veterinaria esistono differenti forme di diabete mellito, le più comuni delle quali vengono definite come diabete di tipo I e di tipo II. Mentre il diabete di tipo I è prevalente nel cane, la tipologia che riscontriamo con maggior frequenza nella specie felina è il diabete di tipo II. Questa forma è conseguente ad una condizione acquisita nota come insulino-resistenza: l’incapacità delle cellule dell’organismo di utilizzare l’insulina per riduzione o alterazione dei recettori cellulari. Vi è una stretta relazione tra questo tipo di diabete ed alcuni fattori predisponenti quali il sovrappeso e l’obesità, lo stile di vita, alcuni errori alimentari: una corretta gestione dietetica svolge un ruolo chiave nello sviluppo e nel trattamento di questa malattia.

Diabete felino: fattori di rischio ambientali e nutrizionali

Parlando di fattori di rischio, sappiamo come sussista una predisposizione al diabete di tipo II nei gatti sterilizzati, di sesso maschile con età maggiore di 7 anni e che vivono indoor (ossia in appartamento, senza accesso a giardino o cortile).

La relazione esistente tra iperglicemia ed abitudini alimentari è invece più complessa ed ancora in fase di studio.
I fattori che senza dubbio sembrano aumentare il rischio di diabete includono il comportamento alimentare vorace e l’alimentazione ad libitum (non razionata) con conseguente maggiore apporto energetico che predispone all’incremento ponderale.

Diversi studi scientifici negli ultimi anni hanno cercato di fare chiarezza sulla questione. Hoenig e collaboratori (2007) hanno dimostrato che l’insulino-resistenza e la ridotta sensibilità al glucosio nei gatti siano associate all’obesità e come i gatti obesi abbiano una probabilità quattro volte superiore di sviluppare il diabete mellito rispetto ai gatti magri.
Lavori recenti, tuttavia, testimoniano come i proprietari di animali domestici sottovalutino la condizione corporea del loro gatto, non riconoscendo l’eccesso di peso come un problema di salute (di obesità e salute degli animali domestici abbiamo parlato qui)

Esiste un rapporto tra il diabete felino e i carboidrati introdotti con la dieta?

Una domanda che molti “gattofili” mi pongono in corso di consulenza nutrizionale è:

ma i carboidrati introdotti con la dieta possono aumentare il rischio di diabete mellito nei gatti?

Recenti studi scientifici hanno cercato di dare delle risposte in merito.
Si ipotizza, per esempio, che il consumo di quantità eccessive di carboidrati altamente raffinati e facilmente assorbibili (zuccheri semplici) determini nel gatto una sintesi inadeguata di insulina e che, nel corso del tempo, favorisca la deposizione di sostanza amiloide (sostanza di natura proteica che si accumula a livello extracellulare).

Questa teoria si basa sul dato, ormai assodato, che i gatti abbiano una capacità limitata di elaborare carichi di glucosio elevati, poiché sono caratterizzati da una efficiente gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi. Ciò rappresenta un adattamento metabolico e digestivo dei felini che sono classificati come carnivori stretti o supercarnivori.

I gatti, quindi, hanno una scarsa capacità di utilizzare gli zuccheri ai fini energetici e questo può determinare una condizione di iperglicemia persistente post-prandiale.
Appare inoltre sempre più evidente, nel paziente felino, la differenza tra il ruolo dei carboidrati dietetici nello sviluppo ed il ruolo dei carboidrati dietetici nella gestione del diabete mellito:

  • Sviluppo della malattia: gli zuccheri semplici dovrebbero essere sempre evitati, in quanto facilmente digeribili e facilmente assorbibili, mentre il ruolo dei carboidrati complessi, in particolare degli amidi è ancora in fase di studio.
  • Gestione nutrizionale del paziente già diabetico: non ci sono dubbi sulla necessità in questi casi di ridurre il tenore di carboidrati (estrattivi inazotati) al fine di migliorare il controllo clinico e la risposta alla terapia insulinica sostitutiva.

Frank e collaboratori (2001) hanno valutato gli effetti di una dieta con basso contenuto di carboidrati ed elevato contenuti in fibre in gatti diabetici. Gli autori hanno riscontrato la possibilità di dimezzare la dose giornaliera di insulina, senza perdita di controllo glicemico, tre mesi dopo il cambiamento dietetico.

In uno studio Mazzaferro e collaboratori (2003) hanno valutato l’effetto un inibitore della α-glucosidasi (acarbose) somministrato da solo o combinato con una dieta a basso contenuto di carboidrati in felini iperglicemici, riscontrando una diminuzione della dipendenza dall’insulina esogena e un miglioramento del controllo glicemico nel caso della associazione tra terapia farmacologica e trattamento dietetico.

In un altro studio, 60 gatti diabetici divisi in due gruppi sono stati nutriti con una dieta a maggiore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 1, Estrattivi Inazotati, E.I. 26%) o ad una dieta a minore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 2, Estrattivi Inazotati 12%). I gatti nutriti con la dieta 2, a minore contenuto in Estrattivi Inazotati, avevano maggiori probabilità di entrare in remissione diabetica alla sedicesima settimana rispetto ai gatti nutriti con la dieta 1. Questi studi dimostrano che uno dei fattori determinanti per la remissione della patologia sia stato il livello complessivo di Estrattivi Inazotati della dieta.

La filaria nelle altre specie

Il ricorso a cibi umidi potrebbe essere vantaggioso nei soggetti diabetici perché il relativo processo produttivo consente l’inserimento di minori quantitativi di Estrattivi Inazotati nella formulazione.

La consulenza nutrizionale per la gestione del diabete mellito nei gatti

Secondo le linee guida ISFM (International Society of Feline Medicine) sulla gestione pratica del diabete mellito nei gatti, le diete umide a basso contenuto di carboidrati formulate per gestire il diabete felino sono l’opzione preferita, anche se le prove di ricerca a supporto di questa raccomandazione siano ancora limitate.
L’adozione di diete personalizzate, eventualmente in regime casalingo o misto, è pertanto fortemente raccomandata nei gatti diabetici.
Possono essere infatti formulati piani nutrizionali specifici per i casi di diabete felino, contenenti elevati tenori proteici di proteine di adeguato valore biologico (tagli muscolari nobili di carne), senza amidi o contenenti carboidrati complessi a basso indice glicemico, e caratterizzati da un buon mix di fibre (solubili e insolubili), utili a gestire il peso corporeo ed il controllo della glicemia.
La perdita di peso è da considerare un obiettivo prioritario per i gatti diabetici obesi e può essere ottenuta utilizzando una dieta a basso contenuto di calorie e grassi e ad elevato contenuto di fibre.

La laser-terapia in medicina veterinaria

Cos’è il laser?

Il laser non è nient’altro che luce. Il termine “LASER”, infatti, è un acronimo che sta per “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation” ovvero “amplificazione della luce mediante emissione stimolata di radiazione“.
Questo particolare tipo di raggio di luce ha trovato applicazione nella medicina umana fin dagli anni ‘70 del ‘900. Da allora è entrata nell’uso corrente e al giorno d’oggi viene utilizzata in moltissime branche specialistiche: dalla medicina estetica alla dermatologia, dalla chirurgia oculistica alla medicina riabilitativa, dall’odontoiatria alla scleroterapia. La laser terapia è stata quindi adottata anche dalla medicina veterinaria.

Curare con la luce: l’uso terapeutico del laser

La laser-terapia, o fotobiomodulazione, sfrutta l’energia fotonica penetrante per ottenere un cambiamento nel tessuto animale (o umano) colpito dal raggio luminoso.
La maggior parte dei dispositivi veterinari utilizzati emette luce tramite un processo di amplificazione ottica basata sull’emissione di radiazioni elettromagnetiche; in altre parole, questi macchinari sono sorgenti di radiazioni elettromagnetiche che emettono energia sotto forma di fotoni.
La luce prodotta riesce a penetrare all’interno del corpo dell’animale e a produrre un “cambiamento”.
Questa proprietà del laser trova interessanti risvolti pratici nella professione veterinaria sia in ambito clinico sia chirurgico e il ricorso agli strumenti basati su questa tecnologia si sta diffondendo su larga scala.
Il successo della laser terapia in veterinaria è legato ad alcuni indiscutibili vantaggi:

  •  L’assenza di invasività della pratica: il ricorso al laser, infatti, rende non necessaria sedazione o anestesia
  • L’assenza di dolore legato alla sua applicazione
  • La quasi completa assenza di effetti collaterali (l’unica assoluta controindicazione rimane l’esposizione diretta degli occhi per cui si rende necessario indossare sempre speciali occhiali durante la seduta).

Laser terapia in veterinaria:‌ veniamo alla pratica

Sono molti gli effetti terapeutici dei trattamenti laser impiegati nella medicina veterinaria: l’alleviamento del dolore e dell’infiammazione, l’immunomodulazione e la stimolazione della guarigione delle ferite e della rigenerazione tissutale.

Alleviamento del dolore

La fotobiomodulazione può essere un’importante componente dell’approccio multimodale al dolore grazie alla sua capacità di bloccare diverse risposte biochimiche e fisiologiche lungo la via di conduzione dello stimolo dolorifico.

Il laser può quindi essere utilizzato con buoni risultati nel trattamento del dolore acuto o del dolore cronico (ad esempio dolorabilità del cavo orale, auricolare, addominale, cervicale, articolare…).
Possiamo intervenire anche sul dolore post-operatorio grazie alla capacità di riduzione dello stimolo infiammatorio con l’utilizzo del laser sia in sede intra-operatoria sia post-operatoria .

La guarigione delle ferite

Un’altra interessante applicazione della laser-terapia riguarda la capacità di ripristinare la normale funzione biologica delle cellule stressate o danneggiate.

Gli effetti cellulari della terapia fotobiomodulatrice possono essere classificati in primari, ovvero luce-indotti, e secondari:

  • Effetti primari: una reazione fotochimica diretta avviene quando i fotoni emessi dal laser colpiscono i mitocondri e le membrane cellulari e l’energia fotonica viene assorbita da cromofori endogeni e convertita in energia chimica all’interno delle cellule.
  • Effetti secondari: sono portati dall’amplificazione delle fotoreazioni primarie. Vengono stimolati il metabolismo cellulare e la regolazione della via di conduzione di segnali responsabili della guarigione delle ferite come migrazione cellulare, sintesi di DNA e RNA, mitosi e proliferazione cellulare.

Tutto ciò determina cambiamenti fisiologici a livello cellulare come l’attivazione di fibroblasti, macrofagi e linfociti, rilascio del fattore della crescita e rilascio di neutrasmettitori, vasodilatazione e sintesi del collagene.

In altre parole, il laser ha la capacità di stimolare e accelerare la riproduzione e la crescita cellulare grazie a una riparazione più veloce dei tessuti danneggiati e alla regolazione della risposta infiammatoria.
Grazie al laser durante il processo di guarigione delle ferite assistiamo a:

  • Formazione di un plug contenente piastrine e fibrina;
  • Invasione della ferita da parte di neutrofili, monociti e macrofagi;
  • Proliferazione di cheratinociti e fibroblasti dal bordo della ferita
  • Formazione di tessuto di granulazione
  • Maturazione del tessuto di granulazione e delle fibre di collagene e vascolarizzazione

Terapie dermatologiche (ma non solo)

La laser-terapia trova ottime applicazioni in dermatologia, grazie alle capacità antinfiammatorie e immunomodulatrici, in particolare nel trattamento di:

  • granulomi da leccamento
  • “hot-spot” o piodermiti superficiali
  • ascessi o fistole delle ghiandole perianali
  • pododermatiti

… e non solo. La dermatologia ad oggi è forse il campo in cui la fotobiomodulazione è maggiormente conosciuta ed applicata ma le potenziali applicazioni della laser-terapia sono innumerevoli.
Esistono studi sull’efficacia di questa tecnica per infiammazioni orali come parodontiti o stomatiti feline, disordini muscoloscheletrici e osteoartriti, per le affezioni di alte e basse vie respiratorie (asma felina, collasso tracheale, tracheiti…), per le condizioni neurologiche (dolore neuropatico, neoplasie intracraniche, mielopatia degenerativa…), per le problematiche addominali (prostatiti, gastriti, cistiti, pancreatiti…), addirittura può essere utilizzata con efficacia in seguito a morsi di vipera.

Pododermatite in un coniglio. Si può osservare il miglioramento della condizione podale in 3 sedute distanziate di circa 7 giorni.

Applicazioni del laser terapeutico negli animali non convenzionali

Le esperienze di laser terapia nella clinica veterinaria

In questo ampio panorama di applicazioni la Clinica San Paolo sta attualmente sfruttando l’efficacia del laser per il trattamento di molte patologie, anche quelle che riguardano i cosiddetti “animali non convenzionali“.

Un ambito in cui stiamo ottenendo ottimi risultati è la cura della pododermatiti dei conigli.
La pododermatite è una patologia estremamente diffusa tra i nostri conigli domestici sia a causa della conformazione dei piedi, dove manca il cuscinetto plantare tipico invece di cani e gatti, sia per il tipo di terreno su cui sono costretti a camminare per via della vita in appartamento.
Abbiamo evidenziato importanti miglioramenti della condizione podale già dai primi trattamenti, con importante diminuzione dell’iperemia cutanea, dell’edema e della dolorabilità della parte.

Ferita aperta in una cavia. Si piò osservare l’evoluzione della cicatrizzazione della ferita in 10 giorni (3 sedute di laser-terapia a distanza di 5 giorni).

Un’altra applicazione molto utilizzata sugli animali non convenzionali riguarda l’acceleramento della guarigione delle ferite, in particolare di quelle chirurgiche. Tra gli animali non convenzionali risulta particolarmente complessa la cicatrizzazione di siti chirurgici di cavie, ratti e criceti a causa della difficoltà ad impedire l’auto-asportazione dei punti. Su queste specie abbiamo iniziato ad utilizzare il laser già nell’immediato post-operatorio e abbiamo osservato una notevole diminuzione dei tempi di cicatrizzazione.

Da non dimenticare inoltre il potenziale utilizzo della laser-terapia nelle ferite aperte, al fine di decontaminare e stimolare la cicatrizzazione di ferite/siti chirurgici il cui processo di cicatrizzazione non sta procedendo nel modo desiderato.

Il diabete nel gatto e nel cane

Dottore, il mio cane beve tanto e fa tanta pipì….è normale?

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Ma cos’è il diabete mellito?

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Come si diagnostica il diabete nel gatto e nel cane?

La terapia si basa, sia nel cane che nel gatto, sulla somministrazione giornaliera di insulina e, in particolare nel gatto, sull’alimentazione corretta.
Nel caso dei cani l’insulina dovrà essere somministrata (a parte rare eccezioni) per tutta la vita dell’animale. Invece nel gatto per alcuni casi c’è possibilità di remissione dalla malattia e sospensione della terapia.
Seguire alcune semplici regole in modo costante e impostare una vera e propria routine giornaliera è importante e può semplificare la gestione da parte del proprietario e migliorare la risposta alla terapia.
Ecco le risposte alle più frequenti domande in merito:

Come conservare e somministrare l’insulina?

L’insulina va conservata in frigorifero ed è molto importante utilizzare le siringhe apposite.

Quando sommistrare l’insulina?

L’insulina va somministrata attraverso un’iniezione sottocutanea, preferibilmente ai lati del torace, la mattina e la sera (preferibilmente ogni 12 oremantenendo la stessa ora).

Qual’è la giusta alimentazione in caso di diabete?

L’alimentazione dovrebbe essere specifica per pazienti diabetici ma è bene che sia il vostro veterinario a consigliarvi l’alimento più corretto nel caso particolare del vostro animale. Se possibile è preferibile comunque dividere la dose di cibo giornaliera in due pasti uguali da somministrare ogni 12 ore, appena prima dell’iniezione di insulina.
È importante che cani e gatti obesi raggiungano un peso normale attraverso la
dieta e un’adeguata attività fisica.

C’è una relazione tra diabete e sterilizzazione?

È consigliato sterilizzare le femmine appena possibile, specie se già colpite dalla patologia, poiché gli ormoni prodotti durante l’estro rendono difficile il controllo della glicemia.

Quali sono le possibili complicanze?

Nel cane complicanze comuni nel lungo periodo sono lo sviluppo di cataratta (opacizzazione del cristallino dell’occhio che colpisce circa l’80% dei cani con diabete mellito) e nel gatto lo sviluppo di neuropatie (circa il 10% dei pazienti). Altre complicanze possono essere lo sviluppo di pancreatiti e infezioni delle vie urinarie ricorrenti.
Un’importante complicanza, in entrambe le specie, può essere lo sviluppo di chetoacidosi, una condizione grave che si manifesta con anoressia, vomito, grave abbattimento e richiede l’ospedalizzazione dell’animale.

I controlli necessari in caso di diabete

Soprattutto nel primo periodo, al fine di impostare la dose di insulina corretta per ogni paziente, saranno necessari alcuni controlli presso il veterinario … e alcuni controlli a casa!
Dal veterinario verranno controllati i valori di glicemia, di fruttosamine e glucosio nelle urine ma è importante il ruolo del proprietario per capire se i segni clinici (aumento della produzione di urine, della sete, della fame e il peso) sono sotto controllo.
In genere serve qualche mese per ottenere un buon controllo della malattia … è importante quindi avere pazienza!

Concludendo…

Il diabete è una malattia facilmente diagnosticabile che richiede però molta pazienza e impegno per la gestione terapeutica da parte del proprietario e del nostro amico a quattro zampe!
Seguendo le indicazioni del veterinario, un’alimentazione e un’attività fisica adeguate cani e gatti diabetici possono avere una buona prognosi e un’ottima qualità di vita!

Gatti e cani in sovrappeso? Un approccio efficace coinvolge tutta la famiglia

I nostri amici a quattro zampe sono ormai parte delle nostre famiglie; e nelle famiglie si condivide tutto: affetto, abitudini, purtroppo anche i problemi.
L’obesità rappresenta una delle patologie metaboliche caratterizzate da maggiore incidenza nella popolazione umana, così come in quelle canina e felina. Lo stretto legame affettivo che si crea tra i proprietari e i loro animali da compagnia spesso finisce per coinvolgere anche scorrette abitudini alimentari. Nella pratica clinica quotidiana capita spesso di constatare che gatti o un cani in sovrappeso sono inseriti in un contesto familiare composto da individui che lottano per il raggiungimento del peso ottimale.

Di fronte al un problema condiviso, medici e veterinari hanno cominciato ad adottare strategie comuni nel tentativo di porre un freno al dilagare della malattia. L’approccio One Health (che tradotto significa “una sola salute”) affronta il problema di umani, gatti e cani in sovrappeso in un’ ottica di coinvolgimento globale del nucleo famigliare; ed è un successo!

Salute per tutti! Un obiettivo possibile, con un po’ di impegno.
A partire dai veterinari

Purtroppo la maggior parte dei proprietari tende a sottovalutare il problema, anche se ormai sappiamo per certo che l’eccesso di adipe corporeo influenza negativamente la salute, la durata e la qualità della vita.
I veterinari
, inoltre, hanno spesso difficoltà nell’instaurare un’interazione ed una comunicazione efficace con i proprietari quando si tratta di problemi di malnutrizione “in eccesso”. Per un clinico, infatti, e’ compito arduo e delicato comunicare ad un proprietario in sovrappeso come anche il proprio felino sia obeso .

Perché ci sono tanti gatti e cani in sovrappeso?

Vari e diversi tra loro sono i fattori di rischio individuati negli animali domestici come origine dell’eccessiva adiposità che caratterizza la malattia:

  • genetica
  • sterilizzazione
  • scarsa attività fisica
  • diete ad alto contenuto di grassi e carboidrati
  • ricorso esagerato a premi ed extras
  • alterazioni a carico del microbiota intestinale (ovvero l’insieme dei batteri che popolano l’intestino).

Numerosi studi hanno indagato le possibili cause di una eccessiva adiposita’ e le comorbidità che ne derivano (ad es. diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, ortopediche, urinarie, etc…), senza arrivare a una conclusione univoca.
Se la causa deve essere ancora essere completamente chiarita un approccio multimodale e proattivo all’animale ed al proprio “compagno” umano è fondamentale per garantire una perdita di peso di successo. A partire da una corretta cultura ed informazione alimentare.

Un affare di famiglia

Le implicazioni negative del sovrappeso sulla salute si conoscono da tempo, e molti strumenti sono stati messi in campo per contrastare la diffusione di questo problema. Tuttavia non si registrano i successi sperati. Per questo è utile sviluppare un approccio nuovo al modo in cui si discute la questione del peso in eccesso in corso di consulenza clinica.
L’attenzione va alla salute totale: “salute a tutte le taglie”. Perché l’obiettivo primario dovrebbe essere la salute di tutti i pazienti, umani, felini e cani in sovrappeso. Parlare con i pazienti, promuovere una nuova cultura alimentare e cambiamenti nello stile di vita assicura notevoli successi; ma non è sempre facile.

La corretta comunicazione

La gestione del peso e la valutazione nutrizionale dovrebbero rappresentare parte integrante della visita clinica di ogni animale domestico. Tuttavia i veterinari sono spesso riluttanti a parlare di obesità e ad educare i clienti a riguardo. Convincere i clienti ad aderire ai programmi di riduzione del peso per gli animali domestici obesi può risultare difficile e questo rende molti professionisti insicuri nel comunicare ad un proprietario di pet come il proprio animale sia obeso. Temono che questa affermazione offenda, sconvolga o faccia arrabbiare il cliente, inducendolo a rivolgersi altrove. L’obesità, tuttavia, è una questione importante per gli animali domestici ed è una responsabilità professionale affrontarla come qualsiasi altra malattia grave.

Il riconoscimento dell’obesità da parte del team sanitario è di importanza vitale per iniziare la discussione. Ciò viene effettuato attraverso la pesatura periodica e l’assegnazione di un punteggio di condizione corporea (BCS). Inoltre, le informazioni sulla dieta (tipo, quantità e frequenza di alimentazione), sugli snacks e sull’esercizio devono essere accertate.

Considerato inoltre il forte legame emotivo esistente tra animale ed uomo (circa il 70% dei proprietari di pets vedono il loro animale domestico come un familiare!), la corretta comunicazione relativa all’obesità dovrebbe essere intrapresa sulla base della “fase di cambiamento” in cui si trovano, ossia dell’attitudine di una persona a cambiare direzione.

Alcuni studiosi suggeriscono il ricorso alla cosiddetta “Comunicazione basata sull’intervista motivazionale” (MICO): un approccio alla comunicazione tra paziente e cliente che si caratterizza come una conversazione terapeutica che utilizza uno stile di comunicazione orientato a favorire i cambiamenti comportamentali e lo stato di salute. L’obiettivo è quello di aumentare la motivazione intrinseca, impegnandosi in un’attività di interesse o soddisfazione personale o soddisfazione piuttosto che concentrarsi soltanto sulle conseguenze esterne.

Quando i clienti diventano motivati a far parte del team di assistenza sanitaria per la salute del loro animale domestico obeso saranno i migliori alleati nel mettere in pratica il piano di perdita di peso individualizzato ideato per loro. Numerose diete per la riduzione del peso sono attualmente disponibili per gli animali domestici; tuttavia, la sola dieta non è sufficiente per raggiungere l’obiettivo di perdita di peso desiderato. L’esercizio fisico è una componente importante dei programmi di perdita di peso e del mantenimento: l’aumento della spesa energetica, oltre a modificare il bilancio dell’energia, fornisce una perdita di peso più consistente e migliore nei cani in sovrappeso.
Ma ci sono benefici anche per la salute del proprietario dell’animale con cui l’attività viene condivisa. Questo esercizio, perché abbia successo, dev’essere definito e misurabile. Solo perché il cane o il gatto si recano nel cortile di casa non garantisce che l’esercizio sia sufficiente. Meglio prendere l’abitudine di fare passeggiate, e pianificarle in termini di tempo o di distanza, o praticare altri esercizi che devono pertanto essere prescritti nel dettaglio.

L’ approccio One Health: una strategia efficace per aiutare gatti e cani in sovrappeso

Negli ultimi 30 anni la diffusione dell’obesità sia nelle persone che negli animali è aumentata, nonostante gli sforzi profusi a riguardo . Gli interventi multi- componente (ad esempio dieta, attività fisica e strategie comportamentali) hanno dimostrato l’ottima efficacia nella promozione della perdita di peso. Tuttavia, il mantenimento a lungo termine, indipendentemente da come sia stata raggiunta tale perdita di peso, rimane spesso una delle maggiori sfide per la realizzazione di trattamenti efficaci.

Le difficoltà che emergono tutte le volte che si tenta di affrontare la questione sono legate principalmente alla complessità del problema. In ogni singolo paziente, umano o animale, l’eziologia dell’obesità implica infatti vari gradi di interazione tra genetica, biologia, ambiente e comportamento. Le barriere al successo sono sia di tipo mentale che fisiologico. Si ritiene infatti che le difficoltà nell’aderire, a lungo termine, ai regimi che promuovono la perdita di peso nei gatti o nei cani in sovrappeso siano alla base degli alti tassi di recidiva osservati nelle persone , sia che si tratti di interventi dietetici e / o di attività fisica.

Come funziona l’approccio “One health” nell’aiutare gatti e cani in sovrappeso?

Il principio alla base di un approccio One Health è la collaborazione interdisciplinare per promuovere la salute delle persone, degli animali e dell’ambiente. Per quanto riguarda il ruolo specifico degli animali da compagnia, l’OHC (il comitato unico per la salute umana ed animale della WSAVA) ha proposto tre aree d’interesse, le prime due delle quali sono particolarmente applicabili alla lotta contro l’obesità in persone e animali. Usando la struttura dell’OHC per affrontare questa sfida possiamo adottare due approcci:

  1. sfruttiamo il potere del legame uomo-animale per promuovere stili di vita più sani per le persone e i loro conviventi
  2. utilizziamo ricerche cliniche comparative e transazionali per aiutarci a raggiungere strategie efficaci e risultati migliori nella prevenzione e nel trattamento dell’obesità.

Esiste indubbiamente un grande potenziale nell’impiegare un approccio One Health per il trattamento e la prevenzione di questa condizione.
Come sempre raggiungere questi risultati è più semplice quando si uniscono e si coordinano gli sforzi congiunti di un gruppo di individui che vedano nella sinergia di competenza tra diverse discipline scientifiche e mediche la chiave del successo. Le parti interessate avranno inoltre bisogno dei mezzi ed opportunità per comunicare e collaborare, includendo in questi anche le risorse materiali ed il finanziamento economico alla ricerca.

La nutrizionista: il professionista giusto per aiutare gatti e cani in sovrappeso

Proprio perché la collaborazione di differenti professionisti è la strada migliore per tutelare la salute di tutti opero da alcuni mesi presso la Clinica Veterinaria San Paolo, che desiderava così offrire un supporto in più al benessere di tutta la famiglia, compresi i suoi componenti a quattro zampe. Per ogni problema di sovrappeso non esitare a consultarmi. Sapremo trovare l’approccio giusto per centrare l’obiettivo di garantire ai tuoi amici una vita lunga e sana.

Lo chiamavano bocca di rosa…

Principali problemi dentali e parodontali: il tartaro in cane e gatto

Ogni giorno i nostri animali di casa condividono con noi gli spazi più intimi. Ci leccano, ci baciano quando rientriamo da lavoro, spesso dormono addirittura nei nostri letti.
Vi è mai capitato in queste situazioni di condivisione di percepire un odore nauseabondo provenire dalle loro bocche?

Ad un veterinario viene subito in mente questa domanda, perché si tratta quasi sempre del primo e unico motivo che spinge le persone a portare i propri amici dal veterinario per un controllo orale. Ma attenzione: noi sappiamo che quando questa situazione si verifica, purtroppo, è già tardi.

Infatti l’odore sgradevole e’ il segnale di una forte infiammazione associata alla fermentazione batterica. Sapevate che nella bocca di uno dei nostri animali possono annidarsi fino a quattrocento, cinquecento specie diverse di batteri?

Questi organismi si replicano a dismisura nella cavità orale e sono causa delle cosiddette malattie dentali e parodontali.
Ecco come fanno:

  • prima si crea la placca dentale: si tratta di una pellicola asettica, di probabile origine salivare, che ricopre i denti e crea un terreno perfetto per la crescita dei microrganismi. 
  • La pullulazione dei microrganismi porta ad un ispessimento della placca e alla conversione ad un metabolismo batterico in anaerobio con produzione di sostanze acide che vanno a ledere lo smalto dentale.  
  • La placca mineralizza e si forma così il temuto tartaro. Nei nostri animali si presenta molto spesso e di colore marroncino. 
  • Al di sotto dello stato di tartaro prosegue la replicazione batterica. I batteri aggrediscono anche le gengive infiammandole e creando retrazione gengivale, esposizione della radice dentale ed indebolimento del sottile osso alveolare che contiene i denti bene incastonati in mandibola e mascella.

Questo processo rende i denti mobili e, a lungo termine, ne causa la caduta. 

Gravi infezioni dentali possono purtroppo portare anche a dolore intenso orale e a diffusione  per via ematica dei batteri su organi vitali causando gravissimi problemi renali, polmonari e cardiaci in particolare.
Va inoltre sottolineato che questo processo e’ decisamente più’ rapido nei cani di piccola taglia.

Noi umani riusciamo a prevenire in modo efficace questi problemi grazie all’igiene orale quotidiana ed recandoci almeno una volta l’anno per una corretta detartrasi dal dentista.
I nostri animali, invece, oltre a non sentire la necessità di lavarsi i denti, sono soliti lamentarsi poco e convivere silenziosamente con questo problema. Questo è il motivo per cui ci accorgiamo sempre in ritardo che qualcosa non va.

Cosa possiamo fare per risolvere il problema del tartaro di cani e gatti?

  1. informiamoci: facciamo domande al veterinario, che sarà felice di fornire le corrette informazioni riguardo lo stato attuale della bocca e dei denti del nostro animale
    Durante la visita annuale sarà sempre cura del medico eseguire una corretta ispezione del cavo orale e valutare lo stato gengivale, l’accumulo di tartaro e la presenza eventuale di altre patologie come le neoplasie orali (purtroppo non esistono solo placca e tartaro).
  2. Preveniamo: ci sono alcuni accorgimenti che ci aiutano a prevenire e rallentare il problema. Oggi sono disponibili presidi efficaci per la spazzolatura e la pulizia, oppure presidi dietetici che rallentano la formazione della placca (diete o integratori). Il normale cibo secco non sembra svolgere una prevenzione efficace rispetto a quello umido.
  3. Curare: risolvere una sofferenza silenziosa.
    Quando possibile, in caso di gengivite possiamo consigliare di ricorrere a farmaci antinfiammatori o antibiotici per dare sollievo immediato al paziente. Se poi risulta necessaria la pulizia orale l’unico modo efficace per farlo è l’ablazione – cioè la rimozione – del tartaro con ablatore ad ultrasuoni in anestesia gassosa. 

Rimozione del tartaro in anestesia:

Non si tratta affatti di una procedura di serie B! Comporta gli stessi rischi anestesiologici di un intervento chirurgico e va effettuata con determinate precauzioni:

  • paziente intubato e su tavolo inclinato per la sicurezza anestesiologica e per evitare respirazione di detriti infetti.
  • dotazione di strumentazione dentistica di qualità con frese e trapani per effettuare eventuali estrazioni (i denti con le radici esposte vanno estratti!)
  • valutazione attenta di tutti i denti e delle tasche parodontali (gengivali)
  • eventuali ricostruzioni chirurgiche delle gengive

Attenzione: non abbinare alla detartrasi altri interventi chirurgici per evitare diffusione batterica sui siti di intervento (una volta eliminato il tartaro le gengive sanguinano e attraverso le lesioni i batteri possono finire sui siti dell’intervento chirurgico portati dal flusso sanguigno!). E’ una pratica assolutamente da sconsigliare, meglio due anestesie o se possibile risolvere prima il problema piu’ importante.

E per il gatto?​

Vale tutto quello che abbiamo detto riguardo al cane, anche se la deposizione di tartaro è piu’ lenta ed ha un’incidenza minore.

Nel gatto sono molto frequenti lesioni orali su base virale (calicivirosi), oppure su base linfoplasmacellulare o autoimmune.

Infiammazioni di questo tipo portano spesso ad intenso dolore ed alla caduta molto precoce di tutti i denti. E’ bene quindi durante la visita eseguire un controllo della bocca anche nei felini, sempre che essi siano d’accordo… le mani ovviamente le offre il vostro veterinario con il solito sprezzo del pericolo!

Prevenire i parassiti dei cani e dei gatti

Conosciamo i nostri nemici

I parassiti che possono infestare i nostri cani sono molti

e possiamo dividerli in due grandi gruppi:

  • gli ectoparassiti (ovvero i parassiti esterni come le pulci, le zecche, gli acari) 
  • gli endoparassiti (ovvero i parassiti interni come i parassiti intestinali, la filaria, la leishmania).

problemi che questi parassiti possono provocare sono molto vari. Vanno dalle dermatiti, più o meno gravi, date dalle pulci fino all’insufficienza d’organo provocata da filariosi o leishmaniosi.

Le pulci

Sono insetti ematofagi, ovvero si nutrono di sangue, e non sono specie specifici, ovvero possono infestare diverse specie animali.
Prediligono la permanenza sugli animali ma, eccezionalmente, possono colpire
anche l’uomo. La femmina adulta, dopo l’accoppiamento e i pasti di sangue sull’ospite, depone delle uova che cadono a terra; qui si sviluppano inizialmente la larva e successivamente la pupa che, infine, si trasformerà in adulto. L’adulto cercherà un ospite dove incontrare altre pulci adulte e riprodursi.

Le zecche

Appartengono alla classe degli aracnidi e sono vettori di gravi malattie, alcune potenzialmente mortali e contraibili anche dall’uomo (zoonosi). Posseggono un rostro con cui si fissano saldamente alla cute dell’ospite (animale o uomo) e da qui iniziano il loro pasto di sangue

La filaria

L’agente infettante è Dirofilaria immitis, un parassita allungato e filiforme che può raggiungere una lunghezza pari a 18 cm nel maschio e 30 cm nella femmina. Il parassita adulto vive nel cuore destro e nell’arteria polmonare con le sue diramazioni. La zanzara, facendo il pasto di sangue su un cane infetto, ingerisce le ? che, all’interno del suo corpo, maturano a larve. Quando la zanzara punge un nuovo individuo, deposita la larva sulla sua superficie cutanea: questa penetrerà nell’animale dove compirà una migrazione per raggiungere il cuore e l’arteria polmonare.

La leishmania

Mentre in passato era considerata una parassitosi presente solo in aree marittime, oggi sappiamo che si sta espandendo anche in aree considerate fino a pochi anni fa esenti (Torino e il Piemonte in generale sono ormai ampiamente colpite).
Il parassita è un protozoo trasmesso da una piccola zanzara, chiamata flebotomo o pappatacio. Il flebotomo, quando effettua un pasto di sangue su un cane infetto, ingerisce il parassita sotto forma di amastigote (sprovvisto di flagello). Nel flebotomo gli amastigoti mutano a promastigoti, provvisti di flagello,  ed infettano il cane su cui il flebotomo infetto va a fare un successivo pasto di sangue. I sintomi provocati da questa malattia sono molto variabili e comprendono perdita di pesomanifestazioni cutaneezoppiaproblemi oculariinsufficienza renale.

Gli anti-parassitari

Per fortuna, al giorno d’oggi, abbiamo a disposizione molte armi con cui prevenire l’attacco di parassiti del cane e proteggere i nostri amici a quattro zampe. Occorre però una premessa: spesso in visita ci viene chiesto quale sia il migliore antiparassitario, quello che possa proteggere il cane al 100%, quello che assicuri che il cane non venga a contatto con i parassiti.
La verità è che non esiste IN ASSOLUTO un antiparassitario migliore. Il lavoro del veterinario consiste proprio nell’utilizzare le proprio competenze per individuare e consigliare l’antiparassitario corretto a seconda del tipo di animale, del tipo di proprietario, del rischio a cui il cane verrà sottoposto a seconda della zona in cui verrà portato.
Gli antiparassitari al momento in commercio  risultano divisibili in quattro grandi categorie: i collari, gli spot-on (o pipette), le compresse e gli antiparassitari iniettivi.  

Ciascuno di questi sistemi ha caratteristiche positive e negative :

  1. Collari (es. Scalibor, Seresto, collari all’olio di neem…).
    Da scegliere perché: sono molto comodi in quanto è sufficiente applicarli al collo del cane e la protezione risulta protratta per una durata da 2 a 12 mesi a seconda del prodotto.
    Attenzione perché: si corre il rischio di “dimenticarseli” e di considerare protetto il cane anche dopo la scadenza del prodotto; possono provocare dermatiti locali; ▪ non tutti proteggono dal rischio della leishmaniosi; molti sono sconsigliati in caso di stretta convivenza con gatti o conigli
  2. Spot-on (es. Vectra 3D, Advanix, Frontline Combo, Frontline, Bravecto, Effitix, Exspot…).
    Da scegliere perché: sono di facile applicazione.
    Attenzione perché : possono provocare dermatiti nel punto di applicazione; sono segnalati problemi neurologici e/o gastroenterici transitori.
  3. Compresse (es. NexGard, NexGard Spectra, Cardotek, Interceptor, Bravecto…).
    Da scegliere perché: Facile somministrazione
    Attenzione perché : sono controindicati in pazienti con episodi di vomito/diarrea ricorrenti; è necessario che il parassita faccia il pasto di sangue sul cane per essere efficace quindi non viene completamente esclusa la possibilità di trasmissione di alcune malattie
  4. Iniettivi (es. Guardian SR, Afilaria).
    Da scegliere perché: assicurano alti livelli di protezione con un’unica somministrazione (durata per l’intera stagione) 
    Attenzione perché: possono provocare reazioni locali transitori nel sito di inoculo (pomfi); in rari casi provocano reazioni sistemiche come vomito, diarrea, edema del muso fino anche a shock anafilattico

Proprio perché le metodiche sono diverse, e ciascuna esprime la sua massima efficacia in condizioni specifiche, il nostro consiglio è di rivolgersi sempre al Medico Veterinario per la giusta profilassi. La nostra Clinica da sempre offre ai suoi clienti pacchetti completi, con tutte le prestazioni necessarie per proteggere e garantire benessere ai vostri amici, anche nella bella stagione e per i più scatenati!

Se il gatto cade dal balcone?

Consigli e informazioni per non ricorrere alle successive 6 vite

La loro capacità di trascorrere gran parte del tempo dormendo e la naturale indipendenza fa dei gatti amici che a volte sembrano richiedere meno attenzioni; ma la loro attività da svegli li espone comunque a dei rischi.
E i gatti non sono tutti uguali. Alcuni, per esempio, amano sostare in luoghi alti, dai quali possono avere un’ottima visuale del loro ambiente; quando si trovano in alto riescono a visualizzare uno spazio molto più ampio ed ai gatti piace molto tenere d’occhio le cose!

Questo comportamento, per quanto tipico e perfettamente normale nei gatti, diventa un vero incubo per il proprietario che vive in appartamento a un piano alto e lo trova sul cordolo del balcone a fare una pennichella, o a caccia di mosche o anche solo ad osservare.
Se avete mai visto un gatto camminare sul cornicione del balcone, sapete di cosa parlo: sprezzante del pericolo, sembra che non ci siano metri e metri di caduta sotto le sue zampe. Spericolati, indipendenti, e diciamolo, testardi. Certe volte pare proprio che i gatti si impegnino a fare il contrario di quanto desideriamo. Non vuoi che salga sul tavolo? Tenderà a farlo solo quando ci sei. Cosa succede se non vogliamo che salgano sul cornicione? Indovinate un po’ …

Gatti e cadute

Le cadute dall’alto sono eventi che coinvolgono il gatto con maggior frequenza di quanto si pensi. Negli anni questo fenomeno è stato descritto in molti modi: sindrome del grattacielo, sindrome del gatto volante o paracadutista o più semplicemente fly cat o flying cat.
Gli americani hanno coniato il termine di High Rise Syndrome (Sindrome della caduta dall’alto): argomento tanto rilevante da occupare un paragrafo importante di tutti i testi sacri di patologia del gatto.
Se un gatto che cade da notevoli altezze spesso sopravvive, questo a volte avviene solo a caro prezzo. Per questo abbiamo raccolto informazioni utili a capire perché bisogna fare molta attenzione e come comportarsi in caso di emergenza

Perché un gatto cade dal balcone?

Sono soprattutto i gatti giovani e quelli in tarda età che possono diventare potenziali Flying cat. I cuccioli sono curiosi e non conoscono bene l’ambiente; gli esemplari anziani hanno una propriocezione ridotta, o possono soffrire di problemi alla vista, articolari o neurologici.

Sono a rischio anche i  gatti che hanno vissuto a piani più bassi e vengono trasferiti su piani più alti; possono infatti aver acquisito abitudini che li inducono a saltare sul cornicione (sempre così sicuri di sé) precipitando nel vuoto.
Anche le distrazioni rappresentano un pericolo: il gatto che cade dal balcone potrebbe essere stato attirato da una mosca, un uccellino o un piccione che passa a pochi metri, oppure essere stato tradito dalla presenza di ghiaccio o di acqua sul cornicione.

Cosa può succedere al gatto che cade da una grande altezza?

  • Una caduta dell’alto del gatto può causare lesioni diverse a seconda dell’altezza,
    dell’età del felino, della sua agilità
    La traumatologia di un gatto caduto comprende:

    • EMORRAGIE INTERNE secondarie a rotture di organi interni o grandi vasi
    • SHOCK
    • PALATOSCHISI (fratture del palato)
    • TRAUMI TORACICI (schiacciamento, rottura delle costole, pneumotorace, contusioni polmonari singole o multiple)
    • TRAUMA CRANICO
    • ERNIA DIAFRAMMATICA TRAUMATICA
    • FRATTURE SPINALI, DEL CAPO e DEGLI ARTI (anteriori,Posteriori)
    • ROTTURA DELLA VESCICA o DI ORGANI o PARENCHIMATOSI (AD ESEMPIO LA MILZA O IL FEGATO)
    • ALTRE LESIONI INTERNE (come stiramenti dei muscoli o dei legamenti in generale, tra cui quelli dei legamenti epatici)

    Queste patologie possono essere diagnosticate entro pochi minuti dall’ingresso in un pronto soccorso veterinario, attraverso la visita clinica, i prelievi ematici e la diagnostica per immagini (radiografie, ecografie toraciche ed addominali). Purtroppo però la vera entità delle lesioni a volte non viene osservata fino a 48-72 ore dopo.
    Per questo occorre fare grande attenzione: se un gatto è caduto e non vedete ferite potrebbe comunque aver riportato lesioni interne molto gravi. In un primo momento infatti potrebbe dare l’impressione di stare bene, addirittura camminare (magari per l’effetto dell’adrenalina), ma avere in realtà patologie gravi. 
    Soprattutto gli stillicidi, le contusioni polmonari e/o cardiache possono impiegare tanto tempo per raggiungere il massimo grado di danno.

Da quanti piani deve cadere il gatto per subire danni?

Se un gatto cade, per esempio, dal balcone del secondo-terzo piano, specie se sotto non ci sono ostacoli e il fondo è erboso o terroso, e si tratta di un esemplare giovane e sano, di solito non si fa neppure un graffio.
A partire dal quarto piano, fino al settimo, i traumi sono più gravi e aumenta in modo significativo la mortalità.
Al contrario di quanto potremmo pensare, invece, oltre il settimo piano la mortalità diminuisce, anche se a prezzo di notevoli traumi alle ossa.

Perché un gatto che cade da un’altezza più elevata ha maggiori possibilità di sopravvivere?

Paradossalmente è più pericoloso che il gatto cada dal quinto che dall’ottavo piano.
Il gatto, sostengono i ricercatori americani, quando cade da un’altezza molto elevata entra in una sorta di oscuramento dei sensi che gli permette di distendere completamente il corpo; così atterra distribuendo l’impatto su ogni centimetro del suo corpo.
Per i gatti che cadono dai piani intermedi (dal quarto al settimo) i traumi diventano più gravi e la mortalità tende ad aumentare dal momento che non hanno il tempo di cedere a questo stato di “oscuramento”, si irrigidiscono e aumentano i danni del contatto col suolo.

Ce lo conferma la storia di Wasabi, fortunato gatto di due anni, che nel settembre 2013 a Juneau, in Alaska, ha fatto un volo di ben 11 piani di grattacielo, per circa 40 metri di altezza, cavandosela “solo” con fratture ossee e una prognosi di 6 settimane. Nonostante la preoccupazione della giovane proprietaria accorsa frettolosamente in suo soccorso, dopo essersi accorta che il gatto era precipitato giù, Wasabi è tornato a casa dopo soli due giorni di ricovero e un intervento chirurgico.

Come prevenire le cadute da grandi altezze

Per evitare che il gatto cada dal balcone, o comunque da grandi altezze, possiamo utilizzare degli accorgimenti; magari non ci possono garantire la completa assenza di incidenti, ma aiutano comunque a ridurne drasticamente la frequenza

  1. Applichiamo alle finestre delle zanzariere e ai balconi delle reti da pesca di nylon fino ad almeno 2 metri e mezzo d’altezza, possibilmente dotandoli di tetto in rete. Controlliamoli quindi periodicamente per accertarci che non siano danneggiati o che il gatto non sia riuscito lentamente a fare un buco con le  unghie.
  2. Chiudiamo sempre tutte le finestre prima di uscire: ricordiamoci che molti gatti hanno paura dei rumori forti, soprattutto di quelli improvvisi. Uno spavento può essere una delle cause che spingono il gatto a cadere da una finestra che abbiamo dimenticato aperta .
  3. Non spaventiamo il gatto se lo vediamo sul cornicione o sul bordo del balcone, potremmo peggiorare la situazione. Un gesto improvviso, un urlo, possono far scattare la reazione istintiva di fuga. Meglio attirarlo in una zona sicura con un bocconcino, un gioco o il suo cibo preferito.

Questi sono tutti gesti semplici quanto necessari. Ricordiamoci che custodire i nostri gatti al meglio non è solo un modo di dimostrare loro il nostro affetto, ma un obbligo di legge.

Le nostre responsabilità

A luglio 2018 ha fatto scalpore il caso di un micio precipitato dall’ottavo piano a
Torino. Il gatto è caduto in testa a un uomo gli ha causato un grave trauma cervicale con prognosi di alcuni giorni. Purtroppo il gatto non è sopravvissuto. La polizia ha condannato la proprietaria del gatto a pagare una multa per omesso controllo dell’animale. Inoltre è stata chiamata in giudizio per lesioni aggravate.

L’accusa sostiene che la donna non abbia predisposto idonee misure di sicurezza per evitare che il gatto cadesse. La legge impone al proprietario di un animale domestico l’obbligo di controllarlo poiché ne è diretto responsabile. Ogni danno causato dall’animale è perciò soggetto a cause civili o penali a meno che non si dimostri che il danno si è verificato durante la fuga o lo smarrimento denunciato, o per una circostanza imprevedibile (caso fortuito): dimostrare però che si tratti di “caso fortuito” è molto difficile.

Il gatto è caduto: cosa fare?

Per prima cosa dobbiamo prestare molta attenzione quando ci avviciniamo. I
gatti che provano dolore cercano di difendersi, tentano di mordere o di graffiare. Avvolgiamolo delicatamente ma in modo sicuro in un asciugamano e chiamiamo il più vicino pronto soccorso veterinario, preannunciando il nostro arrivo.

Cerchiamo di manipolarlo il meno possibile. L’ideale è adagiarlo in un trasportino rigido portalo immediatamente dal medico veterinario per gli accertamenti del caso. Ricordiamoci che molte delle conseguenze di una caduta possono essere interne e non visibili ad occhio nudo. Provare a curarli a casa non è mai raccomandabile.