Attenzione al cioccolato! per i cani è un alimento molto pericoloso

Cosa si intende per triadite del gatto?

La triadite del gatto è una sindrome molto comune tra i nostri felini domestici ed è caratterizzata dalla concomitante infiammazione di fegato (e/o vie biliari), pancreas e/o intestino.

Dal momento che la sindrome interessa più organi bisogna ricordare che non sempre tutti e tre gli elementi sono coinvolti in egual misura: alcuni soggetti potranno sviluppare un’infiammazione più marcata a livello di fegato ed intestino, altri di pancreas ed intestino.
Solo di rado, invece, abbiamo pancreatite ed epatite insieme, in assenza di un coinvolgimento intestinale.
Di solito la triadite insorge in soggetti adulti – anziani, con un’età compresa tra i 6 e i 9 anni. Invece razza e sesso del gatto sembrano non avere alcun legame con la probabilità che la sindrome si manifesti.

Come si sviluppa la triadite? e perché colpisce soprattutto i gatti?

La triadite colpisce soprattutto il gatto perché, a differenza di quanto avviene ad esempio nei cani, il dotto pancreatico ed il dotto biliare principale (coledoco) nei felini si fondono insieme in un unico canale prima di sbocciare nel duodeno a livello della papilla duodenale.
Questo significa che nel gatto fegato pancreas e intestino hanno stretti rapporti anatomici, che sono all’origine delle altrettanto strette connessioni fisio-patologiche che interessano i tre organi.

Il meccanismo patogenetico della triadite non è univoco. Questo significa che non siamo sicuri di come abbia origine questa sindrome.
Alcuni autori hanno riportato casi di “disfunzione dello sfintere di Oddi” (lo sfintere a livello di papilla duodenale preposto allo svuotamento del contenuto di succhi pancreatici e bile contenuti del dotto): una patologia piuttosto frequente nell’uomo, ma meno comune nei nostri felini.

Molti autori suggeriscono invece che alla base di tutto vi sia un’alterazione della flora microbica intestinale, con conseguente sovracrescita di batteri potenzialmente patogeni e loro successiva ascesa verso pancreas e fegato attraverso la papilla duodenale, in corrispondenza dello sbocco comune.
Questo meccanismo di origine della patologia su base infettiva è possibile, oltre che per via ascendente (risalita dei batteri lungo il tratto gastroenterico), attraverso una traslocazione di batteri attraverso la parete intestinale, facilitata da una sensibilizzazione/suscettibilità della stessa quando colpita da un processo infiammatorio cronico, come avviene in corso di IBD.

La maggior parte degli autori, in ogni caso, è d’accordo nel considerare come causa scatenante principale della triadite una risposta autoimmune che si sviluppa in corso di infiammazione cronica intestinale (IBD), spesso di natura allergica/alimentare, in alcuni casi anche secondaria ad un processo infettivo. Questa infiammazione si estende poi anche a fegato e pancreas, data la stretta correlazione tra i tre distretti.

Qualunque sia la causa catenante, è importante ricordare che uno dei sintomi cardine della triadite, il vomito, è spesso responsabile dell’esacerbazione del processo. L’ aumento della pressione intraduodenale durante i conati, infatti, favorisce il reflusso del contenuto intestinale nel pancreas e nelle vie biliari e instaura un meccanismo a catena.

Quali sono i sintomi più comuni della triadite del gatto? Come riconoscerli?

sintomi più comuni legati alla triadite consistono in una riduzione più o meno marcata dell’ appetito (disoressia/anoressia) con conseguente perdita di peso, senso di nauseavomitoletargiaapatiadisidratazionemantello arruffato (per ridotta attività di self-grooming), diarrea o stipsi, mucose tendenti al giallo (= itteriche), dolore addominale.

Non sempre, nello stesso soggetto, osserviamo tutti questi sintomi contemporaneamente: la combinazione di essi dipende infatti dagli organi coinvolti dalla patologia e dalla gravità di tale coinvolgimento.

Come si emette diagnosi di triadite?

Il primo passo da svolgere in caso di comparsa di uno o più sintomi tra quelli sopra elencati è l’esecuzione di esami del sangue completiesame emocromocitometrico e biochimico completo. Queste indagini consentono spesso di rilevare alcuni parametri al di fuori dei range di riferimento. Per una diagnosi più accurata si ricorre alla diagnostica per immagini: radiografia ed ecografia addominale.

Le alterazioni ematobiochimiche  che più di frequente vengono riscontrate in corso di triadite sono:

  • neutrofilia e/o leucocitosi 
  • anemia non rigenerativa
  • aumento degli enzimi epatici (ALT, AST,ALP, iperbilirubinemia)
  • azotemia
  • ipoalbuminemia
  • alterazione vitamina B12
  • alterazione folati
  • ipocolesterolemia
  • ipoproteinemia
  • iperglicemia (transitoria da stress o legata a diabete mellito concomitante)

Altrettanto frequente è riscontrare disturbi elettrolitici, in particolare ipokaliemia, ipocloremia, iponatriemia. 

Alti livelli di amilasi e lipasi nel gatto, per quanto frequenti in casi di triadite, non sono parametri altamente specifici e diagnostici. Al contrario la Lipasi pancreatica specifica felina (fPLI), se aumentata, è altamente suggestiva di pancreatite.

Un altro possibile indicatore di pancreatite in corso è l’ipocalcemia. Gli studi recenti rilevano che un marcato aumento della lipasi pancreatica specifica felina, associata ad una riduzione altrettanto marcata della calcemia, è un indice prognostico negativo per l’evoluzione della patologia.

Ricordiamo sempre che possono essere presenti, nello stesso individuo, più alterazioni patologiche contemporaneamente, e che queste possono essere più o meno gravi a seconda del grado di gravità di IBD, epatopatia e/o pancreatite concomitanti.

In caso di triadite la radiografia non è quasi mai decisiva per la diagnosi, anche se può fornire alcuni indizi utili.
L’ecografia addominale è invece la tecnica di diagnostica per immagini più utile ed utilizzata. L’ecografia permette di identificare:

  • inspessimenti patologici della parete intestinale o alterazioni della sua stratigrafia in corso di IBD
  • alterazioni della motilità intestinale
  • variazioni dell’ecogenicità di pancreas e fegato
  • presenza di versamento addominale
  • dilatazione del dotto biliare
  • colelitiasi
  • fango biliare
  • aumento di volume e/o arrotondamento dei margini degli organi in questione

Quando la componente infiammatoria intestinale appare preponderante sono indicate altre indagini specialistiche:

  • l’endoscopia intestinale
  • la ricerca di batteri e parassiti specifici dell’apparato gastroenterico (da siero o da feci) attraverso tecniche biomolecolari garantite da laboratori esterni.


La diagnosi definitiva di triadite nel gatto è possibile solo attraverso un’esame istopatologico di pancreas, fegato ed intestino. Questo esame è più invasivo rispetto alle tecniche di cui abbiamo parlato. Per questo viene preso in considerazione raramente e solo nei pazienti clinicamente stabili.
Molte altre patologie del gatto (Peritonite Infettiva Felina, Linfoma intestinale del gatto, Lipidosi epatica o altre Epatopatie e Malattie infettive gastrointestinali) possono determinare segni clinici sovrapponibili a quelli riscontrati in corso di tradite. Quindi occorre sempre considerare tutte queste possibilità tra le diagnosi differenziali, soprattutto nei casi in cui il soggetto risponda poco o per nulla alle terapie mirate alla risoluzione di una sospetta triadite.

Come si gestisce e tratta la triadite del gatto

Il trattamento della triadite richiede, nella maggior parte dei casi, il ricovero del paziente.
Solo in questo modo, infatti, è possibile monitorare il soggetto in maniera costante, somministrare la terapia in maniera adeguata, garantire ad un paziente con poco o nullo appetito un apporto nutrizionale giornaliero sufficiente, valutare l’evoluzione della patologia giorno per giorno.

Nell’animale ospedalizzato è possibile somministrare la terapia farmacologica per via iniettabile, ottimizzando l’assorbimento e quindi l’efficacia dei farmaci impiegati.

La terapia è mirata:

  1. alla gestione di nausea e vomito, attraverso la somministrazione di farmaci antiemetici (maropitant, metoclopramide,..) e gastroprotettori (omeprazolo, sucralfato,..)
  2. alla stimolazione del senso di appetito grazie all’utilizzo di farmaci contro l’anoressia/disoressia ( mirtazapina, ciproeptadina,..)
  3. alla gestione del dolore e dell’infiammazione (FANS, oppioidi,cortisonici..)
  4. all’ utilizzo di antibiotici ad ampio spettro spesso associati ad antibiotici attivi su batteri anaerobi (fluorochinoloni, cefalosporine, metronidazolo, tilosina,..)
  5. all’integrazione di vitamine E, C, B12, taurina, arginina, etc.
  6. all’utilizzo di integratori con funzione epato-protettrice (silimarina, glutatione, S- adenosilmetionina, acido ursodesossicolico)
  7. all’utilizzo di fermenti lattici per ridurre il dismicrobismo intestinale indotto dallo stato patologico e dall’utilizzo di antibiotici e contrastare la diarrea conseguente ad un deficit dell’assorbimento intestinale (prebiotici, probiotici, fermenti lattici ad azione compattante,..)
  8. alla reidratazione del paziente, ripristino degli squilibri elettrolitici e all’allontantanamento dei metaboliti tossici accumulatisi nel letto vascolare conseguenti a processi ossidativi tipici degli stati patologici attraverso la fluidoterapia endovenosa.

Che ruolo ha l’alimentazione nella gestione della sindrome?

Un aspetto da non sottovalutare mai è l’alimentazione: un gatto con triadite difficilmente si alimenta spontaneamente, soprattutto nella fase acuta della malattia, e non è infrequente che l’animale vada incontro ad una carenza energetica e di proteine, condizione che può comportare numerose complicazioni come la riduzione della sintesi e della riparazione tissutale, un alterato metabolismo dei farmaci, una diminuzione dell’efficienza del sistema immunitario e la sarcopenia.

Inoltre i gatti non dovrebbero mai rimanere a digiuno per più di tre giorni: il rischio in questo caso è l’insorgenza di una degenerazione del fegato molto difficile da trattare, la cosiddetta lipidosi epatica. Nei casi di anoressia persistente bisognerebbe intraprendere un’alimentazione enterale attraverso l’utilizzo di sondini rino-esofagei o rino-gastrici, attraverso cui somministrare una dieta bilanciata, piccoli pasti frequenti con consistenza liquida ad elevata densità calorica per ridurre la quantità di cibo da somministrare.

Nei casi di disoressia, in cui l’appetito è conservato ma capriccioso, si possono invece selezionare proteine di alto valore biologico ed elevata digeribilità. A differenza di quello che si potrebbe presumere i gatti affetti da pancreatite sono in grado di tollerare diete con un tenore medio-alto di grassi; anzi, i grassi rendono più appetibile l’alimento. Quindi non devono essere eliminati del tutto se non quando sia presente grave diarrea.

Nel caso in cui il problema sia prevalentemente costituito da IBD è bene utilizzare una fonte proteica o un alimento che contenga proteine idrolizzate. In ultima analisi, si ricorda che la fibra solubile può essere utile per la sua capacità di ridurre al minimo l’assorbimento intestinale di ammoniaca.

Prognosi e conclusioni

Se individuata in tempo, ed affrontata con il giusto approccio medico farmacologico, la prognosi della triadite è favorevole. Dobbiamo però ricordare che esistono anche situazioni particolari, spesso legate a gravi compromissione dello stato clinico del paziente, in cui essa può diventare da riservata ad infausta.

Quando i nostri gatti iniziano a presentare uno o più sintomi tra quelli che abbiamo descritto è perciò sempre consigliata una visita veterinaria tempestiva. Questo ci permette di individuare il problema in tempo utile e aumentare la possibilità di guarigione rapida e completa.

Nella maggior parte dei casi, con il giusto supporto medico e un’ospedalizzazione di durata variabile in relazione alla gravità della patologia, i nostri pazienti ritornano più in forze di prima.

L’insufficienza renale nel gatto: capire per curare

Una patologia insidiosa, purtroppo piuttosto frequente tra i gatti, specie se anziani, e dalle serie conseguenze: si tratta dell’insufficienza renale, acuta o cronica.  Possiamo fronteggiarla grazie alla conoscenza, al monitoraggio e a una corretta gestione terapeutica; tutti aspetti per cui si rivela fondamentale una buona sinergia tra medico veterinario e proprietario. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, come possiamo diagnosticarla e affrontarla

L’insufficienza renale nel gatto: di cosa si tratta

Con il termine “insufficienza renale” si indica l’incapacità dei reni di svolgere le proprie funzioni che sono numerose e fondamentali per la salute dell’organismo.
Tra queste ci sono la regolazione di alcuni ormoni, la regolazione di elettroliti e dell’equilibrio idrico del corpo e la rimozione di numerose tossine dall’organismo attraverso un processo di filtrazione del sangue che ha come risultato finale la produzione di urina.
L’insufficienza renale può insorgere in modo acuto oppure cronico. Quest’ultima è la forma più comune nel gatto, con prevalenze sulla popolazione totale che variano tra l’1,6% a oltre il 30% a seconda degli studi.
Gatti di tutte le età possono essere interessati anche se si riscontra maggiormente nei pazienti sopra i 7 anni di età.

Quali sono le cause?

Alcune delle cause che provocano insufficienza renale nel gatto possono essere:

  • malattie infettive (es. pielonefriti batteriche, FIP, FeLv, …)
  • malattie metaboliche e infiammatorie
  • malattie neoplastiche (es. linfoma)
  • malattie congenite (es. rene policistico, una condizione comune nel gatto Persiano o Himalayano)
  • calcoli vescicali o ureterali
  • assunzione di farmaci o tossici (non è il caso delle forme croniche ma è bene ricordare che ad esempio il Giglio è una pianta che se ingerita induce tossicità renale acuta e fatale nel gatto!!!).

Questo vale soprattutto per le forme acute.
Invece la causa scatenante nelle forme croniche è raramente individuabile: si tratta infatti di un processo che si sviluppa lentamente nel tempo. Una volta instauratosi il danno renale, anche se la causa primaria non è più presente, si innescano dei meccanismi per cui diventa persistente e progressivo.

I segni clinici dell’insufficienza renale

Come per tutte le patologie che si sviluppano lentamente, i segni clinici dell’insufficienza renale cronica meritano particolare attenzione, perché possono insorgere in maniera insidiosa, non essere facilmente riconoscibili da parte del proprietario e portare a ritardi nella diagnosi e nel trattamento.

Comunemente si osserva aumento marcato della sete e della produzione di urine, perdita di peso, pelo opaco, letargia e calo dell’appetito. Altri sintomi, nelle forme più avanzate, possono essere disidratazione, vomito, diarrea o costipazione, difficoltà respiratorie e debolezza marcata.

Proprio perché i sintomi non sono sempre facili da individuare è importante eseguire esami di routine nei gatti adulti e anziani, che ci aiutano ad individuare precocemente la malattia prima della comparsa di segni clinici.

Come diagnosticare l’insufficienza renale nel gatto

La diagnosi di insufficienza renale si basa principalmente sul riscontro agli esami del sangue dell’aumento di creatinina ed urea; per essere indicativo di insufficienza renale cronica il loro aumento dovrebbe durare da almeno tre mesi. Queste sostanze, prodotte dal metabolismo dell’organismo, sono normalmente eliminate attraverso il rene e un loro aumento è indicativo di una compromissione di almeno il 75% della funzionalità renale.
Perciò si tratta di marker “tardivi” di patologia: questo significa che, nel momento in cui si alzano, purtroppo gran parte del rene è già compromessa.
Più di recente è stato introdotto un altro parametro di laboratorio chiamato SDMA che, in caso di ridotta funzionalità renale, aumenta precocemente rispetto a creatinina e urea.

Anche l’esame delle urine ci può fornire indicazioni importanti sulla salute del nostro gatto e dei suoi reni: il peso specifico fornisce indicazioni sulla capacità del rene di concentrare le urine ed è importante identificare l’eventuale presenza di proteine perse in eccesso attraverso il rene compromesso (proteinuria).

Per giungere a una diagnosi è necessario inoltre che il veterinario effettui una visita clinica attenta e completa che comprenda anche il monitoraggio della pressione arteriosa.

Altrettanto importante è eseguire:

  • esami del sangue completi
  • esame ecografico dell’addome
  • studio radiografico del torace
  • esame batteriologico delle urine
  • altri esami collaterali (es. citologie d’organo, test per malattie infettive, …)

Questo ha lo scopo di:

  1. cercare di individuare, anche se non sempre possibile, la causa scatenante
  2. individuare eventuali complicanze legate all’insufficienza renale, ad esempio: aumento della pressione arteriosa, alterazione degli elettroliti (es. aumento dei fosfati e del calcio), presenza di proteinuria (perdita eccessiva di proteine attraverso le urine) e anemia.
  3. verificare la presenza di eventuali malattie concomitanti (molto comuni vista l’età avanzata degli animali in cui si riscontra l’insufficienza renale)

Avere un quadro completo della situazione clinica del gatto al momento della diagnosi è fondamentale per una corretta gestione. L’insufficienza renale cronica è una patologia progressiva nel tempo ma una corretta gestione terapeutica della stessa e di eventuali malattie concomitanti può rallentarne lo sviluppo, ridurre le complicanze e garantire una buona qualità di vita al paziente.

Come affrontare l’insufficienza renale del gatto? La corretta gestione terapeutica

Nei casi in cui la diagnosi ci permette di identificare una causa specifica per l’insufficienza renale possiamo instaurare una terapia mirata.

Tuttavia nella maggior parte dei casi la terapia è rivolta a supportare il paziente e ridurre segni clinici e complicanze. In particolare la gestione terapeutica si basa su:

La dieta

L’alimentazione ideale dovrebbe avere un apporto proteico bilanciato, integrazione di vitamine, antiossidanti, acidi grassi omega3 e potassio.
Esistono numerose diete commerciali ideali per questi pazienti; in alternativa un’alimentazione casalinga può essere presa in considerazione solo se formulata da un veterinario esperto in nutrizione. Inoltre, se il fosforo nel sangue risulta elevato è possibile somministrare farmaci che svolgono funzione chelante, ossia possono legarsi al fosforo presente nel cibo e consentire all’organismo di espellerlo.

I fluidi

Fanno parte della gestione terapeutica di questa patologia l’aumento dell’apporto idrico e la supplementazione di fluidi. È importante favorire una maggiore assunzione di acqua da parte del gatto, sia somministrando cibo umido (se gradito) sia fornendo sempre acqua fresca e corrente a disposizione (es. con l’uso di fontanelle).
Se questo non basta è possibile integrare la quota idrica con fluidi somministrati per via sottocutanea; prima di farlo è sempre indispensabile consultare il veterinario…non sempre i fluidi sono necessari e se in eccesso possono essere dannosi!

Terapie mediche

  • terapia medica per l’ipertensione sistemica se presente
  • terapia medica per la proteinuria se presente
  • terapia medica sintomatica se sono presenti sintomi gastro-enterici
  • terapia con Eritropoietina o Darbepoetina se presente grave anemia

È inoltre fondamentale interrompere qualsiasi farmaco potenzialmente nefrotossico precedentemente assunto.

La prognosi per l’insufficienza renale cronica nel gatto: aspettativa e qualità della vita

La prognosi è ovviamente legata alla gravità della patologia. Seguendo le indicazioni delle linee guida internazionali possiamo classificare ogni paziente con insufficienza renale cronica in 4 stadi in base al valore di creatinina e in sottogruppi in base alla presenza o meno di ipertensione sistemica e proteinuria. Questa classificazione, oltre ad essere utile nel trattamento, aiuta a stabilire la prognosi per ogni paziente.
In particolare dagli studi emerge che gatti classificati in stadio II (con valori di creatina tra 1,6 e 2,8mg/dl) hanno un’aspettativa di vita di 3 anni mentre gatti in stadio IV (con valori di creatinina superiori a 5mg/dl) hanno una prognosi di poco più di un mese.

Certamente esistono molte variabili individuali, questi numeri non devono essere presi alla lettera ma ci aiutano a classificare la patologia, determinarne la gravità e monitorarne la progressione.

È stato inoltre dimostrato come gatti con insufficienza renale che seguono un’alimentazione adeguata abbiano tempi di sopravvivenza significativamente maggiori rispetto a quelli che non la seguono.
La prognosi risulta poi essere migliore nei pazienti in cui la proteinuria viene ridotta con terapia medica. E ancora: la gestione dell’ipertensione sistemica, seppur nel gatto non sia stata dimostrata essere un fattore di rischio, migliora la qualità di vita dei pazienti.

Proprietari e veterinari insieme per fronteggiare al meglio l’insufficienza renale cronica nel gatto

L’insufficienza renale cronica, sviluppandosi lentamente nel tempo, può essere una malattia inizialmente insidiosa con sintomi difficilmente riconoscibili dal proprietario. Soprattutto nei gatti anziani esami ematologici e delle urine di routine ogni 6-12 mesi sono indispensabili per individuare precocemente la patologia ed intervenire per rallentarne lo sviluppo.

Una volta stabilita la diagnosi è importante seguire le indicazioni del medico veterinario ed effettuare visite ed esami di controllo a cadenza regolare (stabilita in modo individuale) per monitorare la progressione della patologia, modificare la terapia e gestire le eventuali complicanze al fine di garantire una buona qualità di vita al gatto.

Il ruolo del medico veterinario e del proprietario, svolti in sinergia e piena collaborazione, sono determinanti per assicurare al gatto che soffre di insufficienza renale cronica una maggior durata e migliore qualità della vita.

Diabete felino: miti e verità nutrizionali

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Il diabete mellito è una patologia endocrina molto comune nel gatto, con una prevalenza stimata intorno allo 0,20-1,25% nella popolazione felina globale. Negli ultimi anni, tuttavia, la patologia sembrerebbe essere in aumento. Ciò può riflettere, da una parte, una maggiore disponibilità da parte dei proprietari a sottoporre i propri gatti a cure veterinarie, portando ad una diagnosi precoce, ma dall’altra può essere legata ad un aumento dei principali fattori di rischio associati a questa malattia

Cosa si intende per diabete mellito?

Il termine “mellito” deriva dalla parola latina mellitus, aggettivo che rimanda al miele e alle sue caratteristiche, in particolare la dolcezza. Tale espressione fa riferimento al fatto che, in soggetti affetti da diabete, si verifica una perdita di glucosio attraverso le urine (glicosuria) le quali risultano, per l’appunto, zuccherine. La glicosuria è una conseguenza della incapacità da parte delle cellule dell’organismo di utilizzare il glucosio ematico, con conseguente sviluppo di iperglicemia.

In medicina umana e veterinaria esistono differenti forme di diabete mellito, le più comuni delle quali vengono definite come diabete di tipo I e di tipo II. Mentre il diabete di tipo I è prevalente nel cane, la tipologia che riscontriamo con maggior frequenza nella specie felina è il diabete di tipo II. Questa forma è conseguente ad una condizione acquisita nota come insulino-resistenza: l’incapacità delle cellule dell’organismo di utilizzare l’insulina per riduzione o alterazione dei recettori cellulari. Vi è una stretta relazione tra questo tipo di diabete ed alcuni fattori predisponenti quali il sovrappeso e l’obesità, lo stile di vita, alcuni errori alimentari: una corretta gestione dietetica svolge un ruolo chiave nello sviluppo e nel trattamento di questa malattia.

Diabete felino: fattori di rischio ambientali e nutrizionali

Parlando di fattori di rischio, sappiamo come sussista una predisposizione al diabete di tipo II nei gatti sterilizzati, di sesso maschile con età maggiore di 7 anni e che vivono indoor (ossia in appartamento, senza accesso a giardino o cortile).

La relazione esistente tra iperglicemia ed abitudini alimentari è invece più complessa ed ancora in fase di studio.
I fattori che senza dubbio sembrano aumentare il rischio di diabete includono il comportamento alimentare vorace e l’alimentazione ad libitum (non razionata) con conseguente maggiore apporto energetico che predispone all’incremento ponderale.

Diversi studi scientifici negli ultimi anni hanno cercato di fare chiarezza sulla questione. Hoenig e collaboratori (2007) hanno dimostrato che l’insulino-resistenza e la ridotta sensibilità al glucosio nei gatti siano associate all’obesità e come i gatti obesi abbiano una probabilità quattro volte superiore di sviluppare il diabete mellito rispetto ai gatti magri.
Lavori recenti, tuttavia, testimoniano come i proprietari di animali domestici sottovalutino la condizione corporea del loro gatto, non riconoscendo l’eccesso di peso come un problema di salute (di obesità e salute degli animali domestici abbiamo parlato qui)

Esiste un rapporto tra il diabete felino e i carboidrati introdotti con la dieta?

Una domanda che molti “gattofili” mi pongono in corso di consulenza nutrizionale è:

ma i carboidrati introdotti con la dieta possono aumentare il rischio di diabete mellito nei gatti?

Recenti studi scientifici hanno cercato di dare delle risposte in merito.
Si ipotizza, per esempio, che il consumo di quantità eccessive di carboidrati altamente raffinati e facilmente assorbibili (zuccheri semplici) determini nel gatto una sintesi inadeguata di insulina e che, nel corso del tempo, favorisca la deposizione di sostanza amiloide (sostanza di natura proteica che si accumula a livello extracellulare).

Questa teoria si basa sul dato, ormai assodato, che i gatti abbiano una capacità limitata di elaborare carichi di glucosio elevati, poiché sono caratterizzati da una efficiente gluconeogenesi a partire dagli amminoacidi. Ciò rappresenta un adattamento metabolico e digestivo dei felini che sono classificati come carnivori stretti o supercarnivori.

I gatti, quindi, hanno una scarsa capacità di utilizzare gli zuccheri ai fini energetici e questo può determinare una condizione di iperglicemia persistente post-prandiale.
Appare inoltre sempre più evidente, nel paziente felino, la differenza tra il ruolo dei carboidrati dietetici nello sviluppo ed il ruolo dei carboidrati dietetici nella gestione del diabete mellito:

  • Sviluppo della malattia: gli zuccheri semplici dovrebbero essere sempre evitati, in quanto facilmente digeribili e facilmente assorbibili, mentre il ruolo dei carboidrati complessi, in particolare degli amidi è ancora in fase di studio.
  • Gestione nutrizionale del paziente già diabetico: non ci sono dubbi sulla necessità in questi casi di ridurre il tenore di carboidrati (estrattivi inazotati) al fine di migliorare il controllo clinico e la risposta alla terapia insulinica sostitutiva.

Frank e collaboratori (2001) hanno valutato gli effetti di una dieta con basso contenuto di carboidrati ed elevato contenuti in fibre in gatti diabetici. Gli autori hanno riscontrato la possibilità di dimezzare la dose giornaliera di insulina, senza perdita di controllo glicemico, tre mesi dopo il cambiamento dietetico.

In uno studio Mazzaferro e collaboratori (2003) hanno valutato l’effetto un inibitore della α-glucosidasi (acarbose) somministrato da solo o combinato con una dieta a basso contenuto di carboidrati in felini iperglicemici, riscontrando una diminuzione della dipendenza dall’insulina esogena e un miglioramento del controllo glicemico nel caso della associazione tra terapia farmacologica e trattamento dietetico.

In un altro studio, 60 gatti diabetici divisi in due gruppi sono stati nutriti con una dieta a maggiore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 1, Estrattivi Inazotati, E.I. 26%) o ad una dieta a minore contenuto in carboidrati e fibre (dieta 2, Estrattivi Inazotati 12%). I gatti nutriti con la dieta 2, a minore contenuto in Estrattivi Inazotati, avevano maggiori probabilità di entrare in remissione diabetica alla sedicesima settimana rispetto ai gatti nutriti con la dieta 1. Questi studi dimostrano che uno dei fattori determinanti per la remissione della patologia sia stato il livello complessivo di Estrattivi Inazotati della dieta.

La filaria nelle altre specie

Il ricorso a cibi umidi potrebbe essere vantaggioso nei soggetti diabetici perché il relativo processo produttivo consente l’inserimento di minori quantitativi di Estrattivi Inazotati nella formulazione.

La consulenza nutrizionale per la gestione del diabete mellito nei gatti

Secondo le linee guida ISFM (International Society of Feline Medicine) sulla gestione pratica del diabete mellito nei gatti, le diete umide a basso contenuto di carboidrati formulate per gestire il diabete felino sono l’opzione preferita, anche se le prove di ricerca a supporto di questa raccomandazione siano ancora limitate.
L’adozione di diete personalizzate, eventualmente in regime casalingo o misto, è pertanto fortemente raccomandata nei gatti diabetici.
Possono essere infatti formulati piani nutrizionali specifici per i casi di diabete felino, contenenti elevati tenori proteici di proteine di adeguato valore biologico (tagli muscolari nobili di carne), senza amidi o contenenti carboidrati complessi a basso indice glicemico, e caratterizzati da un buon mix di fibre (solubili e insolubili), utili a gestire il peso corporeo ed il controllo della glicemia.
La perdita di peso è da considerare un obiettivo prioritario per i gatti diabetici obesi e può essere ottenuta utilizzando una dieta a basso contenuto di calorie e grassi e ad elevato contenuto di fibre.

Il diabete nel gatto e nel cane

Dottore, il mio cane beve tanto e fa tanta pipì….è normale?

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Ma cos’è il diabete mellito?

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Quando decidiamo di accogliere un animale da compagnia di solito ci impegniamo anzitutto nel preparare un ambiente ideale all’interno della sua nuova casa e ci preoccupiamo di svolgere un check up completo delle sue condizioni di salute.
Di rado pensiamo che è altrettanto importante occuparci di alcune “incombenze” burocratiche per tutelare al meglio il benessere di questo nuovo componente della nostra famiglia. In alcuni casi, come il microchip dei cani, queste pratiche sono addirittura un obbligo.
​Per questo è importante conoscere quali sono le principali pratiche da espletare nei vari momenti che accompagneranno la convivenza con il nostro pet, a chi rivolgersi e perché sono tanto importanti.

Come si diagnostica il diabete nel gatto e nel cane?

La terapia si basa, sia nel cane che nel gatto, sulla somministrazione giornaliera di insulina e, in particolare nel gatto, sull’alimentazione corretta.
Nel caso dei cani l’insulina dovrà essere somministrata (a parte rare eccezioni) per tutta la vita dell’animale. Invece nel gatto per alcuni casi c’è possibilità di remissione dalla malattia e sospensione della terapia.
Seguire alcune semplici regole in modo costante e impostare una vera e propria routine giornaliera è importante e può semplificare la gestione da parte del proprietario e migliorare la risposta alla terapia.
Ecco le risposte alle più frequenti domande in merito:

Come conservare e somministrare l’insulina?

L’insulina va conservata in frigorifero ed è molto importante utilizzare le siringhe apposite.

Quando sommistrare l’insulina?

L’insulina va somministrata attraverso un’iniezione sottocutanea, preferibilmente ai lati del torace, la mattina e la sera (preferibilmente ogni 12 oremantenendo la stessa ora).

Qual’è la giusta alimentazione in caso di diabete?

L’alimentazione dovrebbe essere specifica per pazienti diabetici ma è bene che sia il vostro veterinario a consigliarvi l’alimento più corretto nel caso particolare del vostro animale. Se possibile è preferibile comunque dividere la dose di cibo giornaliera in due pasti uguali da somministrare ogni 12 ore, appena prima dell’iniezione di insulina.
È importante che cani e gatti obesi raggiungano un peso normale attraverso la
dieta e un’adeguata attività fisica.

C’è una relazione tra diabete e sterilizzazione?

È consigliato sterilizzare le femmine appena possibile, specie se già colpite dalla patologia, poiché gli ormoni prodotti durante l’estro rendono difficile il controllo della glicemia.

Quali sono le possibili complicanze?

Nel cane complicanze comuni nel lungo periodo sono lo sviluppo di cataratta (opacizzazione del cristallino dell’occhio che colpisce circa l’80% dei cani con diabete mellito) e nel gatto lo sviluppo di neuropatie (circa il 10% dei pazienti). Altre complicanze possono essere lo sviluppo di pancreatiti e infezioni delle vie urinarie ricorrenti.
Un’importante complicanza, in entrambe le specie, può essere lo sviluppo di chetoacidosi, una condizione grave che si manifesta con anoressia, vomito, grave abbattimento e richiede l’ospedalizzazione dell’animale.

I controlli necessari in caso di diabete

Soprattutto nel primo periodo, al fine di impostare la dose di insulina corretta per ogni paziente, saranno necessari alcuni controlli presso il veterinario … e alcuni controlli a casa!
Dal veterinario verranno controllati i valori di glicemia, di fruttosamine e glucosio nelle urine ma è importante il ruolo del proprietario per capire se i segni clinici (aumento della produzione di urine, della sete, della fame e il peso) sono sotto controllo.
In genere serve qualche mese per ottenere un buon controllo della malattia … è importante quindi avere pazienza!

Concludendo…

Il diabete è una malattia facilmente diagnosticabile che richiede però molta pazienza e impegno per la gestione terapeutica da parte del proprietario e del nostro amico a quattro zampe!
Seguendo le indicazioni del veterinario, un’alimentazione e un’attività fisica adeguate cani e gatti diabetici possono avere una buona prognosi e un’ottima qualità di vita!

Gatti e cani in sovrappeso? Un approccio efficace coinvolge tutta la famiglia

I nostri amici a quattro zampe sono ormai parte delle nostre famiglie; e nelle famiglie si condivide tutto: affetto, abitudini, purtroppo anche i problemi.
L’obesità rappresenta una delle patologie metaboliche caratterizzate da maggiore incidenza nella popolazione umana, così come in quelle canina e felina. Lo stretto legame affettivo che si crea tra i proprietari e i loro animali da compagnia spesso finisce per coinvolgere anche scorrette abitudini alimentari. Nella pratica clinica quotidiana capita spesso di constatare che gatti o un cani in sovrappeso sono inseriti in un contesto familiare composto da individui che lottano per il raggiungimento del peso ottimale.

Di fronte al un problema condiviso, medici e veterinari hanno cominciato ad adottare strategie comuni nel tentativo di porre un freno al dilagare della malattia. L’approccio One Health (che tradotto significa “una sola salute”) affronta il problema di umani, gatti e cani in sovrappeso in un’ ottica di coinvolgimento globale del nucleo famigliare; ed è un successo!

Salute per tutti! Un obiettivo possibile, con un po’ di impegno.
A partire dai veterinari

Purtroppo la maggior parte dei proprietari tende a sottovalutare il problema, anche se ormai sappiamo per certo che l’eccesso di adipe corporeo influenza negativamente la salute, la durata e la qualità della vita.
I veterinari
, inoltre, hanno spesso difficoltà nell’instaurare un’interazione ed una comunicazione efficace con i proprietari quando si tratta di problemi di malnutrizione “in eccesso”. Per un clinico, infatti, e’ compito arduo e delicato comunicare ad un proprietario in sovrappeso come anche il proprio felino sia obeso .

Perché ci sono tanti gatti e cani in sovrappeso?

Vari e diversi tra loro sono i fattori di rischio individuati negli animali domestici come origine dell’eccessiva adiposità che caratterizza la malattia:

  • genetica
  • sterilizzazione
  • scarsa attività fisica
  • diete ad alto contenuto di grassi e carboidrati
  • ricorso esagerato a premi ed extras
  • alterazioni a carico del microbiota intestinale (ovvero l’insieme dei batteri che popolano l’intestino).

Numerosi studi hanno indagato le possibili cause di una eccessiva adiposita’ e le comorbidità che ne derivano (ad es. diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, ortopediche, urinarie, etc…), senza arrivare a una conclusione univoca.
Se la causa deve essere ancora essere completamente chiarita un approccio multimodale e proattivo all’animale ed al proprio “compagno” umano è fondamentale per garantire una perdita di peso di successo. A partire da una corretta cultura ed informazione alimentare.

Un affare di famiglia

Le implicazioni negative del sovrappeso sulla salute si conoscono da tempo, e molti strumenti sono stati messi in campo per contrastare la diffusione di questo problema. Tuttavia non si registrano i successi sperati. Per questo è utile sviluppare un approccio nuovo al modo in cui si discute la questione del peso in eccesso in corso di consulenza clinica.
L’attenzione va alla salute totale: “salute a tutte le taglie”. Perché l’obiettivo primario dovrebbe essere la salute di tutti i pazienti, umani, felini e cani in sovrappeso. Parlare con i pazienti, promuovere una nuova cultura alimentare e cambiamenti nello stile di vita assicura notevoli successi; ma non è sempre facile.

La corretta comunicazione

La gestione del peso e la valutazione nutrizionale dovrebbero rappresentare parte integrante della visita clinica di ogni animale domestico. Tuttavia i veterinari sono spesso riluttanti a parlare di obesità e ad educare i clienti a riguardo. Convincere i clienti ad aderire ai programmi di riduzione del peso per gli animali domestici obesi può risultare difficile e questo rende molti professionisti insicuri nel comunicare ad un proprietario di pet come il proprio animale sia obeso. Temono che questa affermazione offenda, sconvolga o faccia arrabbiare il cliente, inducendolo a rivolgersi altrove. L’obesità, tuttavia, è una questione importante per gli animali domestici ed è una responsabilità professionale affrontarla come qualsiasi altra malattia grave.

Il riconoscimento dell’obesità da parte del team sanitario è di importanza vitale per iniziare la discussione. Ciò viene effettuato attraverso la pesatura periodica e l’assegnazione di un punteggio di condizione corporea (BCS). Inoltre, le informazioni sulla dieta (tipo, quantità e frequenza di alimentazione), sugli snacks e sull’esercizio devono essere accertate.

Considerato inoltre il forte legame emotivo esistente tra animale ed uomo (circa il 70% dei proprietari di pets vedono il loro animale domestico come un familiare!), la corretta comunicazione relativa all’obesità dovrebbe essere intrapresa sulla base della “fase di cambiamento” in cui si trovano, ossia dell’attitudine di una persona a cambiare direzione.

Alcuni studiosi suggeriscono il ricorso alla cosiddetta “Comunicazione basata sull’intervista motivazionale” (MICO): un approccio alla comunicazione tra paziente e cliente che si caratterizza come una conversazione terapeutica che utilizza uno stile di comunicazione orientato a favorire i cambiamenti comportamentali e lo stato di salute. L’obiettivo è quello di aumentare la motivazione intrinseca, impegnandosi in un’attività di interesse o soddisfazione personale o soddisfazione piuttosto che concentrarsi soltanto sulle conseguenze esterne.

Quando i clienti diventano motivati a far parte del team di assistenza sanitaria per la salute del loro animale domestico obeso saranno i migliori alleati nel mettere in pratica il piano di perdita di peso individualizzato ideato per loro. Numerose diete per la riduzione del peso sono attualmente disponibili per gli animali domestici; tuttavia, la sola dieta non è sufficiente per raggiungere l’obiettivo di perdita di peso desiderato. L’esercizio fisico è una componente importante dei programmi di perdita di peso e del mantenimento: l’aumento della spesa energetica, oltre a modificare il bilancio dell’energia, fornisce una perdita di peso più consistente e migliore nei cani in sovrappeso.
Ma ci sono benefici anche per la salute del proprietario dell’animale con cui l’attività viene condivisa. Questo esercizio, perché abbia successo, dev’essere definito e misurabile. Solo perché il cane o il gatto si recano nel cortile di casa non garantisce che l’esercizio sia sufficiente. Meglio prendere l’abitudine di fare passeggiate, e pianificarle in termini di tempo o di distanza, o praticare altri esercizi che devono pertanto essere prescritti nel dettaglio.

L’ approccio One Health: una strategia efficace per aiutare gatti e cani in sovrappeso

Negli ultimi 30 anni la diffusione dell’obesità sia nelle persone che negli animali è aumentata, nonostante gli sforzi profusi a riguardo . Gli interventi multi- componente (ad esempio dieta, attività fisica e strategie comportamentali) hanno dimostrato l’ottima efficacia nella promozione della perdita di peso. Tuttavia, il mantenimento a lungo termine, indipendentemente da come sia stata raggiunta tale perdita di peso, rimane spesso una delle maggiori sfide per la realizzazione di trattamenti efficaci.

Le difficoltà che emergono tutte le volte che si tenta di affrontare la questione sono legate principalmente alla complessità del problema. In ogni singolo paziente, umano o animale, l’eziologia dell’obesità implica infatti vari gradi di interazione tra genetica, biologia, ambiente e comportamento. Le barriere al successo sono sia di tipo mentale che fisiologico. Si ritiene infatti che le difficoltà nell’aderire, a lungo termine, ai regimi che promuovono la perdita di peso nei gatti o nei cani in sovrappeso siano alla base degli alti tassi di recidiva osservati nelle persone , sia che si tratti di interventi dietetici e / o di attività fisica.

Come funziona l’approccio “One health” nell’aiutare gatti e cani in sovrappeso?

Il principio alla base di un approccio One Health è la collaborazione interdisciplinare per promuovere la salute delle persone, degli animali e dell’ambiente. Per quanto riguarda il ruolo specifico degli animali da compagnia, l’OHC (il comitato unico per la salute umana ed animale della WSAVA) ha proposto tre aree d’interesse, le prime due delle quali sono particolarmente applicabili alla lotta contro l’obesità in persone e animali. Usando la struttura dell’OHC per affrontare questa sfida possiamo adottare due approcci:

  1. sfruttiamo il potere del legame uomo-animale per promuovere stili di vita più sani per le persone e i loro conviventi
  2. utilizziamo ricerche cliniche comparative e transazionali per aiutarci a raggiungere strategie efficaci e risultati migliori nella prevenzione e nel trattamento dell’obesità.

Esiste indubbiamente un grande potenziale nell’impiegare un approccio One Health per il trattamento e la prevenzione di questa condizione.
Come sempre raggiungere questi risultati è più semplice quando si uniscono e si coordinano gli sforzi congiunti di un gruppo di individui che vedano nella sinergia di competenza tra diverse discipline scientifiche e mediche la chiave del successo. Le parti interessate avranno inoltre bisogno dei mezzi ed opportunità per comunicare e collaborare, includendo in questi anche le risorse materiali ed il finanziamento economico alla ricerca.

La nutrizionista: il professionista giusto per aiutare gatti e cani in sovrappeso

Proprio perché la collaborazione di differenti professionisti è la strada migliore per tutelare la salute di tutti opero da alcuni mesi presso la Clinica Veterinaria San Paolo, che desiderava così offrire un supporto in più al benessere di tutta la famiglia, compresi i suoi componenti a quattro zampe. Per ogni problema di sovrappeso non esitare a consultarmi. Sapremo trovare l’approccio giusto per centrare l’obiettivo di garantire ai tuoi amici una vita lunga e sana.

Prevenire i parassiti dei cani e dei gatti

Conosciamo i nostri nemici

I parassiti che possono infestare i nostri cani sono molti

e possiamo dividerli in due grandi gruppi:

  • gli ectoparassiti (ovvero i parassiti esterni come le pulci, le zecche, gli acari) 
  • gli endoparassiti (ovvero i parassiti interni come i parassiti intestinali, la filaria, la leishmania).

problemi che questi parassiti possono provocare sono molto vari. Vanno dalle dermatiti, più o meno gravi, date dalle pulci fino all’insufficienza d’organo provocata da filariosi o leishmaniosi.

Le pulci

Sono insetti ematofagi, ovvero si nutrono di sangue, e non sono specie specifici, ovvero possono infestare diverse specie animali.
Prediligono la permanenza sugli animali ma, eccezionalmente, possono colpire
anche l’uomo. La femmina adulta, dopo l’accoppiamento e i pasti di sangue sull’ospite, depone delle uova che cadono a terra; qui si sviluppano inizialmente la larva e successivamente la pupa che, infine, si trasformerà in adulto. L’adulto cercherà un ospite dove incontrare altre pulci adulte e riprodursi.

Le zecche

Appartengono alla classe degli aracnidi e sono vettori di gravi malattie, alcune potenzialmente mortali e contraibili anche dall’uomo (zoonosi). Posseggono un rostro con cui si fissano saldamente alla cute dell’ospite (animale o uomo) e da qui iniziano il loro pasto di sangue

La filaria

L’agente infettante è Dirofilaria immitis, un parassita allungato e filiforme che può raggiungere una lunghezza pari a 18 cm nel maschio e 30 cm nella femmina. Il parassita adulto vive nel cuore destro e nell’arteria polmonare con le sue diramazioni. La zanzara, facendo il pasto di sangue su un cane infetto, ingerisce le ? che, all’interno del suo corpo, maturano a larve. Quando la zanzara punge un nuovo individuo, deposita la larva sulla sua superficie cutanea: questa penetrerà nell’animale dove compirà una migrazione per raggiungere il cuore e l’arteria polmonare.

La leishmania

Mentre in passato era considerata una parassitosi presente solo in aree marittime, oggi sappiamo che si sta espandendo anche in aree considerate fino a pochi anni fa esenti (Torino e il Piemonte in generale sono ormai ampiamente colpite).
Il parassita è un protozoo trasmesso da una piccola zanzara, chiamata flebotomo o pappatacio. Il flebotomo, quando effettua un pasto di sangue su un cane infetto, ingerisce il parassita sotto forma di amastigote (sprovvisto di flagello). Nel flebotomo gli amastigoti mutano a promastigoti, provvisti di flagello,  ed infettano il cane su cui il flebotomo infetto va a fare un successivo pasto di sangue. I sintomi provocati da questa malattia sono molto variabili e comprendono perdita di pesomanifestazioni cutaneezoppiaproblemi oculariinsufficienza renale.

Gli anti-parassitari

Per fortuna, al giorno d’oggi, abbiamo a disposizione molte armi con cui prevenire l’attacco di parassiti del cane e proteggere i nostri amici a quattro zampe. Occorre però una premessa: spesso in visita ci viene chiesto quale sia il migliore antiparassitario, quello che possa proteggere il cane al 100%, quello che assicuri che il cane non venga a contatto con i parassiti.
La verità è che non esiste IN ASSOLUTO un antiparassitario migliore. Il lavoro del veterinario consiste proprio nell’utilizzare le proprio competenze per individuare e consigliare l’antiparassitario corretto a seconda del tipo di animale, del tipo di proprietario, del rischio a cui il cane verrà sottoposto a seconda della zona in cui verrà portato.
Gli antiparassitari al momento in commercio  risultano divisibili in quattro grandi categorie: i collari, gli spot-on (o pipette), le compresse e gli antiparassitari iniettivi.  

Ciascuno di questi sistemi ha caratteristiche positive e negative :

  1. Collari (es. Scalibor, Seresto, collari all’olio di neem…).
    Da scegliere perché: sono molto comodi in quanto è sufficiente applicarli al collo del cane e la protezione risulta protratta per una durata da 2 a 12 mesi a seconda del prodotto.
    Attenzione perché: si corre il rischio di “dimenticarseli” e di considerare protetto il cane anche dopo la scadenza del prodotto; possono provocare dermatiti locali; ▪ non tutti proteggono dal rischio della leishmaniosi; molti sono sconsigliati in caso di stretta convivenza con gatti o conigli
  2. Spot-on (es. Vectra 3D, Advanix, Frontline Combo, Frontline, Bravecto, Effitix, Exspot…).
    Da scegliere perché: sono di facile applicazione.
    Attenzione perché : possono provocare dermatiti nel punto di applicazione; sono segnalati problemi neurologici e/o gastroenterici transitori.
  3. Compresse (es. NexGard, NexGard Spectra, Cardotek, Interceptor, Bravecto…).
    Da scegliere perché: Facile somministrazione
    Attenzione perché : sono controindicati in pazienti con episodi di vomito/diarrea ricorrenti; è necessario che il parassita faccia il pasto di sangue sul cane per essere efficace quindi non viene completamente esclusa la possibilità di trasmissione di alcune malattie
  4. Iniettivi (es. Guardian SR, Afilaria).
    Da scegliere perché: assicurano alti livelli di protezione con un’unica somministrazione (durata per l’intera stagione) 
    Attenzione perché: possono provocare reazioni locali transitori nel sito di inoculo (pomfi); in rari casi provocano reazioni sistemiche come vomito, diarrea, edema del muso fino anche a shock anafilattico

Proprio perché le metodiche sono diverse, e ciascuna esprime la sua massima efficacia in condizioni specifiche, il nostro consiglio è di rivolgersi sempre al Medico Veterinario per la giusta profilassi. La nostra Clinica da sempre offre ai suoi clienti pacchetti completi, con tutte le prestazioni necessarie per proteggere e garantire benessere ai vostri amici, anche nella bella stagione e per i più scatenati!