La displasia dell’anca nel cane.‌ Prevenire è meglio, curare si può.

La displasia dell’anca è una patologia ereditaria nel cane e colpisce per lo più esemplari geneticamente predisposti di taglia media, grande e gigante.

Resta ad oggi una delle patologie ortopediche più diffuse e questo nonostante il lavoro di selezione dei riproduttori, praticato dagli allevatori ormai da tempo, e l’attenzione crescente dei proprietari verso questa patologia.

Displasia d’anca nel cane: di cosa si tratta

Questa patologia interessa l’articolazione dell’anca, formata dalla testa del femore e dall’acetabolo del bacino che l’accoglie.
Quando l’acetabolo non accoglie più perfettamente la testa del femore i due capi articolari diventano incongruenti (cioè non perfettamente appaiati) e l’anca si dice displasica.
Con il tempo la cartilagine si erode e si vanno a creare alterazioni morfologiche dei capi articolari, con conseguente deposizione di tessuto osteofitario (artrosi).

Il sintomo più evidente e comune della displasia d’anca è la zoppia del paziente causata dal dolore. La displasia nei casi più gravi può esordire dall’età pediatrica oppure manifestarsi nell’età adulta avanzata quando si hanno casi più lievi.

Predisposizione alla displasia

La patologia è determinata da molti fattori, anche se è dimostrato che l’ereditarietà è predisponente, dal momento che vengono colpiti per lo più cani di taglia media, grande e gigante.

Alcune razze risultano essere più predisposte di altre. In particolare:

  • pastore tedesco
  • labrador
  • golden retriever
  • rottweiller
  • bovaro del bernese
  • boxer, il border collie
  • bulldog
  • san bernardo

E molte altre ancora;‌ tuttavia anche i meticci che da adulti raggiungono un peso superiore a 20 kg, in quanto discendenti da cani di razza, possono essere soggetti a displasia d’anca.

Altri fattori possono peggiorare la gravità della patologia su soggetti con una predisposizione genetica:

  • obesità
  • mancanza di un buon tono muscolare
  • mancanza di esercizio
  • attività fisica inadeguata

Quando la displasia può essere scambiata per pigrizia del cane

sintomi che ci mettono in allerta possono insorgere in età pediatrica o durante la vecchiaia: questo dipende dalla gravità della patologia.

In ogni caso il primo sintomo che il proprietario nota e riferisce è una zoppia “a freddo” del posteriore, ossia una difficoltà ad alzarsi e a camminare dopo essere rimasti fermi per qualche ora.
Di solito questo atteggiamento anomalo si esaurisce in pochi minuti, dopodiché il cane torna quello di sempre.

La comparsa di un sintomo così effimero fa sì che in passeggiata il proprietario non noti difetti, ma riporti piuttosto di avere un cane “pigro”, che rifiuta l’attività fisica intensa e/o prolungata, oppure che gioca solo per alcuni minuti e poi si stufa.

Se impegnato in un’attività più intensa del solito (come una passeggiata in montagna) il giorno dopo è stanco, rimane nella cuccia e non vuole uscire.

Proprio perché‌ i primi sintomi non sono facili da interpretare bisogna quindi tenere a mente che la displasia dell’anca è una patologia dolorosa e i comportamenti che abbiamo elencato sono indice di dolore, o fastidio al movimento articolare.

Come ovvio i sintomi variano in base alla gravità della displasia:

  • patologia lieve: il dolore si manifesta soprattutto quando l’articolazione rimane ferma per qualche ora. Ecco la comparsa di zoppia a freddo.
  • patologia moderata/grave: il dolore è costante e presente tutto il giorno. Il cane appare più tranquillo, “pigro”, prova a correre o giocare ma dopo poco deve desistere perché troppo doloroso.

Se quindi la nostra diagnosi arriva in una fase precoce possiamo prevenire l’aggravarsi del dolore articolare e garantire al paziente una qualità di vita migliore.

Diagnosi della displasia: precoce è meglio!

Per diagnosticare precocemente la displasia d’anca sono necessari:

  • una prima visita ortopedica intorno ai 4 mesi di età
  • in seguito alla visita uno studio radiografico completo in sedazione. La sedazione è indispensabile per la precisione del posizionamento e per eseguire test diagnostici specifici

Lo studio radiografico prevede diverse proiezioni; dalle radiografie ottenute si estrapolano degli indici che ci rivelano il grado di lassità articolare, cioè quanto la testa del femore si allontana dall’acetabolo. Inoltre vengono esaminati accuratamente i profili articolari per valutare se è già presente rimodellamento dei capi articolari (alterazione del profilo dell’articolazione), elemento che ci indica una  evoluzione negativa della patologia.

In base allo studio radiografico precoce si può esprimere un giudizio clinico sulla patologia e definirla di grado lieve, moderato o grave.

Arrivare presto alla diagnosi è di grande importanza per il benessere del cane.

Se infatti arriviamo a supporre che la patologia possa avere un’evoluzione grave possiamo intervenire con la chirurgia quando l’apparato scheletrico è ancora in accrescimento. In questo modo riusciamo a limitare i danni articolari nell’età adulta.

Se il cane ha già superato l’età della diagnosi precoce (5-6 mesi) e sospettiamo che possa soffrire di displasia, è sempre consigliata una visita ortopedica seguita da uno studio radiografico in sedazione. Anche in questo caso la sedazione è importante, non tanto per la precisione del posizionamento, ma perché molto probabilmente il cane avrà dolore e muovendosi può rendere impossibile eseguire il test in maniera corretta.

Un esame che non ha finalità diagnostica:‌ lo studio radiografico ufficiale

Lo studio radiografico ufficiale non nasce per fare diagnosi di displasia d’anca, ma serve a certificare sul pedigree il grado di displasia del cane.
Non è obbligatorio, ma spesso è richiesto in caso di attività sportiva, manifestazioni agonistiche, oppure per far riprodurre il proprio animale.

Lo studio radiografico ufficiale può essere eseguito a partire dai 12 mesi di età per tutte le razze, tranne alcune razze giganti per le quali l’età minima dello studio è stata posticipata a 15 o 18 mesi.

Viene eseguito sempre in sedazione, le radiografie vengono inviate, insieme alla documentazione del cane e al pedigree, ad una centrale di lettura che definirà il grado di displasia:

  • A: nessun segno di displasia;
  • B: lieve incongruenza articolare;
  • C: leggera displasia d’anca, moderata incongruenza articolare;
  • D: media displasia d’anca, grave incongruenza articolare;
  • E: grave displasia d’anca, marcate modificazioni dei capi articolari.

Come si tratta il cane affetto da displasia

La diagnosi di displasia d’anca non significa una condanna a vita per il nostro animale.

Esistono diversi tipi di trattamento che si possono intraprendere e che variano a seconda dell’età, dello stato clinico generale e della gravità della patologia.

Possiamo dividere questi trattamenti in due categorie:‌ quelli chirurgici, che servono a ridurre o a eliminare il problema, e la terapia conservativa, che aiuta il paziente, diminuisce il dolore percepito e lo stato d’infiammazione.

Il trattamento chirurgico della displasia

In base alla gravità del processo patologico e alle condizioni particolari del paziente (età, sintomatologia e stato generale) possiamo ricorrere a trattamenti chirurgici preventivi, sostitutivi e palliativi.

  • Preventivi:
    I trattamenti preventivi vengono presi in considerazione in base ai risultati ottenuti dallo studio radiografico e consentono di diminuire la comparsa di danni irreversibili a carico dell’articolazione o di rallentare nel tempo la progressione della patologia. Sono trattamenti preventivi
    _ Sinfisiodesi pubica: chirurgia poco invasiva che si esegue solo in animali molto giovani (generalmente entro i 4 mesi) e solo in caso di forme lievi.
    – TPO (Triplice Osteotomia Pelvica) e DPO (Duplice Osteotomia Pelvica): osteotomie correttive di bacino, cioè interventi più invasivi del precedente e prevedono un’età massima del paziente di circa 6 mesi. Queste chirurgie sono adatte a forme lievi e moderate di displasia in pazienti asintomatici.
  • Sostitutivi
    Ad oggi l’unico trattamento sostitutivo in caso di displasia è la protesi totale d’anca. Consiste nella sostituzione della testa del femore e dell’acetabolo con elementi protesici che ristabiliscono la completa funzionalità articolare. Questa chirurgia rimuove completamente il dolore articolare e migliora nettamente la qualità di vita del paziente. La protesi d’anca viene suggerita in pazienti giovani con forme gravi o in pazienti adulti o anziani con artrosi coxo-femorale.
  • Palliativi
    Questi trattamenti puntano a ridurre il dolore articolare senza però ripristinarne la funzionalità. Con l’aumentare delle tecniche chirurgiche preventive e sostitutive e con la maggior sensibilizzazione dei proprietari verso questa patologia, le chirurgie palliative vengono prese sempre meno in considerazione. Tra queste si ricorda l’ostectomia del collo e testa femorale.

Terapia conservativa

La terapia conservativa consiste in un insieme di trattamenti, farmacologici e non, che mira a ridurre o rallentare l’insorgenza di artrosi, diminuire l’infiammazione e il dolore articolare.

Questo tipo di percorso viene consigliato in pazienti giovani con displasia di grado lieve o in adulti o anziani con artrosi che non possono essere sottoposti a protesi d’anca.

Nella terapia conservativa la gestione del peso è fondamentale. In pazienti obesi o sovrappeso il danno articolare dovuto all’incongruenza dei capi articolari è maggiore e quindi la patologia avanzerà più velocemente. Altrettanto importante è il mantenimento di un buon tono muscolare attraverso un’attività fisica controllata come passeggiate lunghe, piccole corse o nuoto e praticata con costanza. Sono sempre da evitare le attività che prevedono salti o traumi in quanto possono esordire in microtraumi cartilaginei che peggiorano il quadro infiammatorio e accelerano la patologia.

Il trattamento fisioterapico è spesso consigliato, in quanto, specialisti del settore possono studiare il singolo caso e attraverso attività fisica controllata o attrezzature specialistiche riducono il quadro infiammatorio e migliorano il tono muscolare.

Nella terapia conservativa in supporto alla gestione del peso e al mantenimento del tono muscolare si accompagnano armaci antinfiammatori (FANS) e/o veri e propri antidolorifici per il trattamento del dolore e fitoterapici e nutraceutici per preservare l’integrità della cartilagine.

Il benessere dei pazienti è il nostro primo obiettivo

Se è importante saper scegliere la giusta terapia per ogni stadio della displasia, ancora più importante è riuscire, quando possibile, a prevenire le sue manifestazioni più estreme.

La prevenzione, infatti, è l’unico strumento a cui possiamo affidarci per evitare al nostro cane dolore costante e danni permanenti alle articolazioni.

Proprio perché siamo consapevoli dell’importanza di un percorso di cura dedicato alla displasia abbiamo raccolto tutte le prestazioni utili al benessere dei pazienti a rischio in un piano di salute dedicato. Così sarà ancora più semplice prenderti cura al meglio del tuo amico a quattro zampe, garantirgli una vita attiva senza rinunciare alla felicità di condividere corse e giochi.

Filaria e filariosi:‌ i rischi per i nostri cani (e non solo) e l’importanza della prevenzione

Forse hai sentito parlare, magari al parco da qualcuno preoccupato per il proprio cane, dei cosiddetti “vermi del cuore”: si tratta di un parassita, noto come Filaria, che può causare la filariosi, una patologia molto seria.
Purtroppo questo parassita arriva a infestare i nostri amici, soprattutto cani, attraverso un evento banale come la puntura di zanzara. Quando la primavera si fa strada e le punture d’insetto diventano più frequenti è importante quindi proteggere i nostri cani, ma anche gatti e furetti.
Per sapere come e scoprire nel dettaglio il ciclo di vita di questo parassita seguici in questo articolo che abbiamo redatto per sgombrare il campo da dubbi e aiutarti a prenderti cura al meglio dei tuoi animali

Filaria e filariosi cardiopolmonare: di cosa si tratta

La filariosi cardiopolmonare è una patologia parassitaria che può colpire i nostri animali domestici, oltre ad alcune specie di animali selvatici .
​Più spesso vengono infestati i cani, ma anche i gatti ed i furetti possono essere vittime di questa importante malattia.
L’infestazione è causata da un nematode (verme tondo), ovvero la Dirofilaria Immitis, più comunemente nota come “Filaria”. Le larve di questo parassita vengono trasmesse da un individuo ad un altro tramite un vettore (la zanzara), che le immette nel circolo sanguigno dei nostri animali.
Andiamo a vedere nel dettaglio cosa succede

Il ciclo vitale della Filaria

Il parassita: la filaria

La Dirofilaria Immitis, nella sua forma adulta detta Macrofilaria, è un verme tondo filiforme che può raggiungere anche i 15-30 cm di lunghezza, a seconda che si tratti di esemplari maschili o femminili.

Come la Leishmania (di cui abbiamo già parlato qui ) anche la Filaria è un endoparassita, ovvero ha necessità di compiere il suo ciclo vitale all’interno di ospiti animali. Il ciclo vitale è di tipo indiretto, quindi non può essere trasmessa direttamente da un ospite definitivo ad un altro (ad es. da cane a cane), ma deve svolgere parte della sua crescita, da larva ad esemplare adulto, in un ospite intermedio che fa da vettore: la zanzara.

La zanzara:‌ il vettore della filaria e come avviene l’infestazione

Il parassita adulto abita i grossi vasi sanguigni polmonari e cardiaci dell’ospite definitivo, che, come abbiamo accennato, è quasi sempre un cane, ma può essere anche un gatto o un furetto. Qui dà origine ai sintomi e quindi alla malattia vera e propria, la filariosi.
Non solo: i vermi all’interno dei grossi vasi si accoppiano e producono delle larve. Nel loro primo stadio larvale le MICROFILARIE (o L1) migrano dai grossi vasi ai vasi sanguigni periferici cutanei, arrivando quindi in sostanza molto vicine alla pelle dei loro ospiti. Ed è qui che vengono prelevate dalle zanzare durante il pasto di sangue.

La zanzara prende il nome di ospite intermedio. All’interno delle zanzare, infatti, le larve in stadio L1 maturano e arrivano allo stadio L3. Le larve L3 vengono così iniettate, insieme alla saliva, dalla zanzara in un nuovo ospite definitivo (ad es. un cane).

Le L3 si annidano nel tessuto sottocutaneo del loro ospite definitivo per circa 3 mesi, maturando ancora fino allo stadio L5, per poi entrare nel circolo venoso centrale, arrivare nei grossi vasi polmonari e cardiaci e trasformarsi in parassiti adulti.

Il parassita adulto e la conclusione del ciclo

I parassiti adulti, esemplari maschili e femminili, si accoppieranno per produrre nuove microfilarie einiziare nuovamente il ciclo.
​Il periodo di sviluppo, dall’infestazione della larva L3 alla maturità sessuale del parassita (detto periodo di prepatenza) richiede circa 6 mesi nel cane e 8 nel gatto; una volta adulto il parassita ha una vita media di anche 4-5 anni nel cane e 2-3 nel gatto.

​Dopo la fecondazione, la femmina infatti rilascia nel sistema circolatorio dell’ospite definitivo le microfilarie che possono rimanere in circolo anche per 2 anni, aspettando l’arrivo di un vettore per completare il loro ciclo vitale.

La filaria:‌ un pericolo per cani, ma anche gatti e furetti

Gli ospiti definitivi delle larve della filaria sono soprattutto alcuni dei nostri animali domestici: cane, gatto e furetto.

La filaria nel cane

Il cane è in assoluto l’animale più ricettivo e quindi più soggetto a presentare l’infestazione e la malattia. Rappresenta l’ospite preferito per il parassita; nell’organismo del cane infatti la filaria riesce a compiere l’intero ciclo e a produrre una quantità anche molto alta di microfilarie per continuare il ciclo successivo.

La filaria nelle altre specie

Al contrario il gatto non rappresenta l’ospite ideale per la filaria. La maturazione da L3 ad esemplare adulto viene spesso contrastata efficacemente dal sistema immunitario del gatto, pertanto il parassita non riesce a svolgere il ciclo completo.
Quando questo avviene comunque l’infestazione spesso è sostenuta da pochi esemplari adulti che non sempre sono in grado di produrre microfilarie. La microfilaremia (ovvero la presenza nel circolo periferico di larve L1) è quindi di solito di breve durata e di bassa carica.

Il Furetto presenta una situazione intermedia tra cane e gatto, abbastanza ricettivo, presenta spesso sintomi importanti e molto gravi.

La diffusione della filaria sul territorio

La filariosi cardiopolmonare è diffusa in varie aree del territorio europeo.
​In italia le zone più colpite, dove risulta endemica, sono quelle del Nord Italia situate intorno alla Pianura Padana. La presenza del parassita fu scoperta per la prima volta nel 1626.

Le aree più a rischio sono: Lombardia, Piemonte e Veneto meridionali, Liguria orientale, Toscana centro-settentrionale ed Emilia Romagna, anche se non mancano casi in altre zone della penisola.
Negli ultimi decenni infatti, con l’intensificarsi degli spostamenti degli animali domestici insieme ai loro proprietari, si è assistito ad una maggiore diffusione.

L’azione patogena della filaria

La filariosi cardiopolmonare prende questo nome perché il parassita adulto si stabilisce nei grossi vasi sanguigni polmonari (arterie polmonari per lo più) e, in uno stadio più avanzato, nelle camere cardiache destre dell’ospite.
Il periodo di prepatenza (ovvero il periodo che intercorre dall’infestazione alla maturazione del parassita nel suo stadio adulto) dura circa 6 mesi. In questo periodo il cane non manifesa nessuna sintomatologia.

Trascorsi i 6 mesi il verme adulto può iniziare a causare modificazioni sempre più importanti nell’efficienza del circolo sanguigno: prima a livello polmonare, poi cardiaco, e creare sintomi progressivi sempre più gravi, fino a causare anche la morte del suo ospite.
L’azione patogena che il parassita è in grado di provocare nell’animale che ha infestato è determinata da diversi fattori:

  • Riduzione del flusso di sangue arterioso verso i polmoni per occupazione di spazio nelle arterie polmonari
  • Azione infiammatoria sui vasi sanguigni
  • Formazione di turbolenze del flusso ematico vicino alla valvola cardiaca, con successiva azione emolitica (distruzione di globuli rossi), date dal movimento “a frusta” delle filarie.
  • Tromboembolismi per morte dei parassiti

I sintomi: nel cane…

Il cane può rimanere asintomatico per molto tempo, anche per anni. L’insorgenza della malattia infatti è per lo più di tipo cronico e porta a sintomi progressivi.
La gravità dei sintomi dipende dalla gravità dell’infestazione (quanti parassiti adulti e di che dimensioni sono presenti nel paziente) e dalle dimensioni del paziente stesso (in animali di piccole dimensioni anche infestazioni di minore entità sono in grado di dare sintomi più gravi e a più rapida evoluzione).

Ecco alcuni tra i sintomi causati dalla filariosi che possiamo riscontrare nei nostri cani:

  • Intolleranza all’esercizio ed affanno durante l’attività fisica, calo delle prestazioni (questi sintomi sono più evidenti in cani da lavoro o sottoposti ad intensa attività fisica)
  • Tosse
  • dispnea, cioè difficoltà a respiratore, da lieve a grave
  • Dimagrimento cronico
  • Episodi di sincopi (svenimenti), soprattutto durante o dopo l‘esercizio fisico.
  • Insufficienza cardiaca congestizia destra: patologia cardiaca grave in grado di dare anche ascite (raccolta di liquido in addome) e formazione di edemi periferici
  • Ipertensione polmonare
  • Anemia ed emolisi (rottura dei globuli rossi)
 

…nel gatto e nel furetto

Nel gatto la malattia ha un’incidenza molto inferiore al cane, anche se è comunque possibile che si manifesti.  Per fortuna in molti casi ​il sistema immunitario del gatto è in grado di combattere lo sviluppo delle larve. Quando però il parassita adulto riesce ad arrivare nella localizzazione definitiva, date le ridotte dimensioni delle arterie polmonari e delle camere cardiache del gatto, può dare sintomi anche molto più gravi ed improvvisi.
In genere rimane asintomatica per lungo tempo; può in seguito presentare una sindrome acuta, anche con morte improvvisa, caratterizzata da sintomi respiratori come tosse, dispnea ed emottisi. Il vomito è un altro sintomo molto frequente in questo animale.

Nel Furetto la sintomatologia da Filariosi si presenta spesso come sindrome molto grave. Le ridotte dimensioni dei vasi e del cuore di questo animale lo rendono più velocemente suscettibile all’insorgenza di sintomi gravi quali anoressia, debolezza, tosse, insufficienza cardiaca. Molto spesso può avere un esito letale.

Negli ultimi anni inoltre è stata associata all’infestazione da Dirofilaria Immitis anche l’infezione da Wolbachia, un batterio in grado di facilitare la sopravvivenza delle filarie nei mammiferi e di intensificare i processi infiammatori dati dall’infestazione.

Diagnosi e profilassi della filaria:‌ il valore della prevenzione

Se diagnosticata in tempo la filariosi cardiopolmonare è una patologia che può essere trattata in maniera efficace tramite terapia specifica; in alcuni casi la terapia può durare anche molto a lungo.
Purtroppo in alcuni pazienti i sintomi sono subdoli e ad insorgenza cronica; questo determina il rischio di intervenire quando la malattia è già in fase avanzata e di conseguenza che la terapia abbia minor probabilità di successo.
Per questo la prevenzione è lo strumento più efficace per proteggere la salute dei nostri amici a quattro zampe. Andiamo a vedere in cosa consiste la profilassi.

La profilassi preventiva della filariosi

Per una corretta prevenzione è necessario combinare un’azione di prevenzione dal morso del vettore ed un’azione di profilassi contro le larve che potrebbero essere già state iniettate.

  • La prevenzione della puntura di insetti, tra cui la zanzara, si ottiene con il ricorso a prodotti repellenti in grado di tenere lontane le zanzare ed altri artropodi (spot on, collari, spry). Esistono anche repellenti a base di oli essenziali naturali (come l’olio di Neem).
  • Profilassi: evita che le eventuali larve iniettate nel circolo possano svilupparsi a parassita adulto. Per una corretta profilassi possiamo scegliere tra più soluzioni:
     ​​- somministrare un prodotto per bocca o applicare uno spot-on a base di Ivermectina /Milbemicina Ossima/ Moxidectina/ Selamectina/ una volta al mese nel periodo di maggior attività del vettore (da marzo ad Ottobre)
    – somministrare​ un prodotto iniettabile long-acting a base di Moxidectina che protegge i nostri animali per tutto l’anno

Entrambi i trattamenti devono essere effettuati preferibilmente nei mesi primaverili.
Non tutti i piani terapeutici sono possibili, validi e sicuri indistintamente per tutti i tipi di paziente. A seconda della specie, della razza, delle possibilità gestionali, il proprietario viene guidato dal Medico Veterinario per scegliere il piano terapeutico più adatto al proprio animale.
Considerando che i cani infetti potrebbero non mostrare sintomi anche per molti mesi, risulta necessario, prima di iniziare qualsiasi tipo di trattamento profilattico, effettuare dei test diagnostici per escludere una possibile infestazione asintomatica.

Test di screening e diagnosi della filariosi

Tutti i pazienti che effettuano la profilassi per la prima volta devono prima essere sottoposti ad un test di screening
Nelle aree endemiche il consiglio è di effettuare un test di controllo almeno ogni 2 anni, anche se il paziente viene sottoposto a profilassi.
Lo screening consiste in un test rapido ambulatoriale, che si effettuato attraverso un semplice prelievo di sangue.
​Il test rileva se sono presenti gli antigeni di Dirofilaria Immitis circolanti nel sangue, rilasciati dalle femmine adulte del parassita. Sono rilevabili dopo circa 5 mesi dall’infestazione.
A questo può essere associato il test di Knott, che va a valutare invece la presenza di microfilarie nel circolo.


Il paziente può essere sottoposto a profilassi se risulta negativo. Se invece risulta positivo al test bisogna procedere con esami di approfondimento per valutare lo stadio della malattia in atto. (ecocardiografia, radiografie toraciche, esami del sangue ecc).

Scegli di proteggerlo

I medici della clinica sono a tua disposizione per valutare il caso specifico di ogni singolo paziente e a consigliarvi il piano di prevenzione e profilassi più adatto al vostro animale!
La filariosi purtroppo in Piemonte è ancora molto diffusa: proteggere nel modo adeguato i tuoi amici significa anche contribuire ad arrestare la diffusione della malattia.

Le vaccinazioni per conigli: cosa c’è di nuovo

Da alcuni mesi è entrata nell’uso comune una novità davvero interessante nel campo delle vaccinazioni per conigli: un vaccino trivalente per la prevenzione delle malattie infettive del coniglio.
Questo vaccino protegge contro tutte e tre le malattie virali del coniglio: la mixomatosi e i due ceppi di malattia emorragica virale (MEV1 e MEV2).

L’occasione di presentarvi questa novità ci sembra la più adatta per parlare delle vaccinazioni per conigli, cercare di fare chiarezza sulla loro necessità, sulle malattie trattate dal vaccino, su modalità e tempi di vaccinazione.

Patologie per cui si vaccina il coniglio

La Mixomatosi

La mixomatosi è una patologia virale molto contagiosa, con elevata mortalità. I sintomi comprendono:

  • abbattimento
  • congiuntivite
  • rigonfiamenti cutanei sulla testa e gli arti
  • infiammazione degli organi genitali

I sintomi portano al decesso entro 10 giorni. Si trasmette con il contatto diretto con conigli infetti e attraverso la puntura di insetti ematofagi (pulci e zanzare).

MEV 1 e 2

La MEV 1 (Malattia Emorragica Virale – ceppo 1) è una malattia infettiva acuta che provoca gravi lesioni polmonari ed epatiche. La causa è un virus specifico del coniglio, che non colpisce nessun’altra specie animale.
La malattia si trasmette per contatto diretto con un coniglio ammalato e tramite insetti vettori: pulci, mosche, zanzare. Colpisce solo i conigli al di sopra di 30-50 giorni di vita e la sua mortalità è altissima (80-100%). Un sintomo tipico è rappresentato dalla morte improvvisa del coniglio causata da emorragie in tutti gli organi, in particolare nei polmoni.

La MEV2 (Malattia Emorragica Virale – ceppo 2) è una variante sierologica della MEV1, è arrivata in Francia nel 2010 e successivamente in Italia. Questa nuova variante differisce dalla MEV1 in alcuni aspetti:

  • Colpisce i conigli di tutte le età
  • Non è specie specifica: infatti può infettare anche la lepre
  • non risponde al vaccino classico per la MEV

sintomi sono molto simili a quelli della MEV 1, anche se la mortalità è leggermente minore.

Noi consigliamo caldamente le vaccinazioni per i conigli perché:

Al momento per nessuna di queste patologie virali esiste una cura. Inoltre si tratta di patologie a denuncia obbligatoria: significa che il regolamento di polizia veterinaria impone per i conigli infetti l’abbattimento e la loro distruzione, per impedire la diffusione del virus.

Sono patologie rischiose anche per i conigli pet, quelli che vivono nelle nostre case come animali d’affezione. Se infatti per loro è più rara la possibilità di una trasmissione da contatto diretto con soggetto infetto, corrono comunque il rischio di essere infettati attraverso la puntura di insetti ematofagi, come le zanzare.
Per questo non si può parlare di rischio di infezione pari a zero neanche per i soggetti che vivono esclusivamente al chiuso in appartamento.

Quindi, anche in presenza di un rischio di contagio non elevato, proprio perché la prognosi è spesso infausta e l’alta diffusibilità ne comporta denuncia e abbattimento il vaccino è un ottimo salvavita per i conigli pet, oltre che mostrarsi come buon metodo di prevenzione di epidemie negli allevamenti.

Il nuovo vaccino è sicuro ed efficace

Il nuovo vaccino va a sostituire i diversi protocolli (annuali o semestrali) utilizzati negli ultimi anni per la protezione contro Mixomatosi, MEV1 e MEV2. È un vaccino efficace e molto ben tollerato, con effetti collaterali rari su animali sani.
Si può utilizzare per ottenere una buona immunità a partire dalle 5 settimane d’età. Sarà comunque il veterinario, al momento della visita, a valutare se effettuarlo in base allo stato di salute e alle dimensioni del soggetto.

È un vaccino altamente tecnologico e, a causa del suo funzionamento, se un coniglio in passato è stato vaccinato esclusivamente per la mixomatosi potrebbe non essere efficace e non stimolare la produzione anticorpale verso MEV1 e MEV2. Per questo motivo è tanto più importante il ruolo di un veterinario esperto, che può valutare il protocollo vaccinale che il coniglio ha seguito in passato e decidere di conseguenza le tempistiche di somministrazione del nuovo vaccino.

Il nuovo vaccino trivalente ha un’efficacia annuale e va ripetuto ogni anno per tutta la vita del coniglio. Come tutti i vaccini va somministrato esclusivamente a soggetti sani, pertanto è molto importante una visita clinica accurata prima della vaccinazione.

Cosa cambia per il coniglio?

Grazie a questo vaccino il coniglio potrà avere una buona protezione contro mixomatosi, MEV1 e MEV2 con una sola iniezione . Questo diminuisce la complessità di protocolli vaccinali ed evita al proprietario di dover stare dietro a intrecci di vaccini semestrali, annuali, bivalenti, monovalenti. Ridurre questa complessità si traduce nel rendere più semplice e quindi più efficace la cura e la tutela della salute dei nostri amici conigli.

Le visite periodiche e le vaccinazioni per i conigli

Come abbiamo anticipato grazie a questo nuovo vaccino per i nostri conigli la visita vaccinale verrà quindi effettuata una volta all’anno.
Il coniglio però è un animale col metabolismo molto rapido ed essendo in natura una preda tende a mascherare i sintomi patologici fino a che questi non sono già gravi.

Per questo motivo, pur se sottoposto a questo nuovo vaccino, la visita veterinaria semestrale resta un presidio molto importante per tutelare la salute del coniglio. È molto utile, infatti, per controllare in maniera accurata denti, orecchie, addome e anche per non tralasciare il taglio delle unghie e poter avere un confronto e consigli personalizzati su gestione o comportamento.

Leishmaniosi : tutto quello che c’è da sapere

La bella stagione è arrivata, con i primi caldi e le giornate più tiepide che preludono l’arrivo dell’estate. Purtroppo questa è anche la stagione più attesa dai fastidiosi parassiti – pulci, zecche e pappataci – per i quali coincide con il momento della massima attività. Diventa costante la minaccia alla salute dei nostri animali e la necessità di salvaguardarli con interventi di protezione adeguati è una priorità assoluta.
Una delle malattie che merita maggior l’attenzione è la Leishmaniosi: si tratta di una malattia tanto diffusa quanto grave che ormai interessa per intero il nostro Paese (un tempo era endemica solo in alcune zone del Sud, in Toscana e sulla riviera ligure).

È insidiosa perché, una volta infettato, il cane rimane per sempre un “serbatoio” del parassita: la malattia può essere tenuta sotto controllo, ma non può guarire. Non solo: se la patologia non viene adeguatamente trattata, può progredire e diventare molto grave, fino a portare in alcuni casi alla morte del cane. Proprio per questo la prevenzione è fondamentale.

Conosci il nemico

La leishmaniosi è una malattia infettiva e contagiosa causata dal parassita Leishmania Infantum trasmesso dalla puntura di piccoli insetti, i flebotomi (pappataci) che in Italia può causare sia la leishmaniosi viscerale che la leishmaniosi cutanea.

Le zone litoranee del centro e del sud sono le aree a rischio maggiore, ma negli ultimi dieci anni si è registrato un aumento dell’area di diffusione della malattia, ora presente con nuovi focolai anche in molte aree nel Nord Italia.
cani rappresentano il principale ospite; una volta infetti diventano a loro volta serbatoi di potenziale infezione per l’uomo ed occasionalmente altri animali, come gatti, bovino, ratti, cavalli.

La leishmaniosi canina è una malattia cronica grave, che provoca danni progressivi. Diagnosticarla è difficile perché i sintomi sono poco specifici e mai chiaramente testimoni della patologia in atto (patognomonici). La terapia risulta solo parzialmente efficace, non esente da possibili ricadute, comunque mai risolutiva.

Per questi motivi è necessario prevenire il contagio quanto possibile ed eseguire test per rilevare un eventuale contagio. Ma come si trasmette la Leishmaniosi?

Il Flebotomo: un vampiro silenzioso

La Leishmania per diffondersi ha bisogno del flebotomo vettore, l’insetto che il parassita sfrutta a proprio vantaggio per compiere parte del suo ciclo biologico.

La caratteristica di questo insetto sta proprio nell’essere silenzioso. Il pappatacio infatti non emette il tipico sibilo che preannuncia l’arrivo della zanzara. Lo dice persino il suo nome: questo insetto “pappa e tace”, cioè si nutre in maniera silenziosa.

È molto piccolo (1.5-3.5 mm), di color giallo ocra, attivo nelle ore notturne, dalle 20,00 alle 6,00 circa. Depone le uova nel terreno umido, nei muri delle case vecchie abbandonate, dove c’è materiale organico in decomposizione (foglie, lombrichi, altri insetti).
I focolai quindi si possono generare nei luoghi in cui il flebotomo trova un habitat favorevole e la presenza di cani che possono essere infettati (ha bisogno del loro sangue per nutrirsi). Inoltre i pappataci necessitano di temperature elevate e non sono domestici (difficilmente entrano in casa).

Solo le femmine di pappatacio si nutrono di sangue, al fine di permettere la maturazione delle uova. Se un flebotomo femmina punge un mammifero infetto può ingerire amastigoti intracellulari (probabilmente anche extracellulari) che passano direttamente nella parte addominale dell’intestino. All’interno del pasto di sangue gli amastigoti si trasformano in promastigoti mobili che si moltiplicano attivamente.

Successivamente i parassiti migrano verso la parte anteriore dell’intestino, dove diventano promastigoti metaciclici, le forme infettanti per l’ospite vertebrato (cane) e quindi si localizzano nelle strutture pungitrici. Il tempo minimo in cui si realizzano queste trasformazioni (pasto di sangue – promastigoti metaciclici) è di 5-6 giorni (fino a 19-20, dipende soprattutto delle condizioni climatico-ambientali). Quando il flebotomo infetto punge un altro cane per nutrirsi, deposita nella cute i promastigoti , che quando vengono riconosciuti dai macrofagi del cane vengono “inglobati”: è così che da promastigoti si trasformano in amastigoti e si moltiplicano per semplice divisione binaria.

Immaginate ora tutti quei macrofagi: all’interno di ogni singolo macrofago, il promastigote perde la sua piccola coda e comincia a replicarsi, causando la lisi del macrofago. Sempre più macrofagi vengono così infettati e gli amastigoti viaggiano per le vie linfatiche; man a mano infettano tutti gli organi/tessuti fino a portarsi al midollo osseo dove i monociti (precursori dei macrofagi) vengono prodotti.

Quali sono e come sono cambiate nel tempo le aree critiche per la leishmaniosi

Fino a qualche anno si riteneva che la leishmaniosi fosse presente in maniera significativa soltanto nelle zone tropicali e subtropicali, in tutto il bacino del Mediterraneo, comprese le isole.
Già da tempo, però, a causa del riscaldamento globale e della sempre più frequente movimentazione dei cani infetti a seguito dei loro proprietari, assistiamo alla costante comparsa di nuovi focolai in zone prima considerate sicure, come il Nord Italia.

Se guardiamo in particolare al Piemonte notiamo che sono state accertate ben tre differenti aree in cui la leishmaniosi canina è diventata endemica (Torino, Ivrea, Casale Monferrato, Acqui Terme), con una sieroprevalenza che va dal 3,9% al 5,8%. Anche in Valle d’Aosta è stato identificato un possibile focus.

In queste aree la colonizzazione può essere avvenuta spontaneamente dalle zone costiere o in seguito agli aumentati movimenti di persone dalle aree mediterranee. Nelle zone interessate di Piemonte e Valle d’Aosta la presenza stagionale dei flebotomi va dalla seconda metà di maggio a settembre.

Cosa succede quando il cane contrae la leishmaniosi?

Quando il cane viene punto diventa a sua volta portatore del parassita ed il periodo di incubazione è molto variabile: può durare anche vari anni.
La variabilità di risposta all’infezione dipende principalmente dalle difese immunitarie del cane.

Un cane risultato positivo al test può vivere per molto tempo prima di manifestare sintomi, ma può comunque contribuire a diffondere la malattia.
Ricordiamo che la leishmania non viene trasmessa direttamente da cane a cane o da cane a persona. Quindi la vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano un rischio del tutto risibile l’uomo, visto che in una zona endemica saranno molti milioni i pappataci infetti potenzialmente in grado di pungere.

I sintomi: come interpretare un quadro non sempre evidente

I cani che manifestano sintomi clinici, possono presentare, in ordine decrescente di prevalenza:

  • Linfoadenomegalia (ingrandimento patologico dei linfonodi)
  • Splenomegalia (ingrandimento patologico della milza)
  • Dermatite desquamativa (soprattutto su muso, zampe e arti)
  • Ulcere nella zona peri-oculare (“aspetto di cane anziano”),
  • Onicogrifosi (crescita abnorme delle unghie)
  • Anemia
  • Uveite (infiammazione della tunica media dell’occhio)
  • Epistassi (sangue dal naso)
  • Poliartrite e sinovite
  • Insufficienza renale

Come si arriva alla diagnosi di Leishmaniosi?

Per effettuare diagnosi di Leishmaniosi fino a poco tempo fa si faceva ricorso ad un test in grado di rilevare, attraverso un prelievo di sangue, la presenza di anticorpi; in questo modo si poteva capire se un cane era venuto a contatto o meno con il parassita, ma non se avesse sviluppato la malattia o fosse solo venuto in contatto con il parassita stesso. Inoltre non aveva un carattere di ripetitività, per cui ad esempio a laboratori differenti corrispondevano titoli anticorpali differenti.

Oggi abbiamo a disposizione nuove metodiche, chiamate ELISA e PCR, che ci permettono, sempre attraverso il prelievo di sangue di individuare la presenza del parassita Leishmania nell’organismo tramite il reperimento del suo DNA. In altri termini questo secondo esame permette di sapere con assoluta certezza se un cane è ammalato.

Debellare la Leishmaniosi non è possibile, per questo è necesserio prevenirla!

Nonostante siano state fatte ipotesi e tentativi, ad oggi non abbiamo la possibilità di eliminare le colonie di pappataci, né adulti né allo stadio larvale. Di conseguenza l’unica forma di prevenzione possibile è quella che limita il contatto tra vettore e ospite mediante l’uso topico di principi attivi ad effetto protettivo contro la puntura dei flebotomi.

La protezione del cane dalla puntura del vettore è perciò un intervento prioritario, sia per proteggere l’animale dall’infezione, sia per limitare la diffusione del parassita quando il cane è già infetto.
In quest’ottica è importante che anche i cani già affetti da leishmaniosi svolgano una corretta prevenzione che li protegga dalla punture dei flebotomi.

Il periodo giusto per fare prevenzione

Il periodo d’applicazione orientativo delle misure protettive è limitato all’attività dei flebotomi vettori. In Italia si possono individuare tre periodi:

  • Nord Italia: metà maggio – fine settembre
  • Centro Italia: metà maggio – metà ottobre
  • Sud Italia: inizio maggio – metà novembre

La profilassi contro la leishmaniosi

Lo schema di profilassi della leishmaniosi nel cane ha carattere indicativo e va adattato alle singole situazioni. Per proteggere i nostri cani occorre l’azione combinata di: repellenza (protezione meccanica e chimica), vaccinazione e comportamenti efficaci.

  1. Repellenza

La scelta del tipo di protezione (meccanica o chimica) sarà di volta in volta valutata da parte del veterinario dopo aver considerato:

  • la disponibilità da parte del proprietario
  • l’ambiente in cui vive il cane
  • il modo di somministrazione (spray, spot-on, collare) e inizio protezione delle specialità medicinali con “conclamata” efficacia
  • la frequenza dei trattamenti in base all’inizio e alla durata dell’efficacia delle varie specialità medicinali.

La profilassi per il cane avviene tramite l‘applicazione sull’animale di prodotti repellenti (in genere piretroidi naturali o sintetici come la deltametrina e la permetrina), contenuti in collari, spray o fiale spot-on da applicare sulla cute, che hanno dimostrato la capacità di contrastare le punture dei pappataci.

  1. Comportamenti efficaci
  • far dormire l’animale in casa durante le ore notturne, applicando zanzariere a maglie fitte alle finestre
  • limitare le passeggiate del cane all’alba ed alla sera
  • fare uso di prodotti repellenti specifici, espressamente progettati ed indicati per proteggere dalla puntura dei flebotomi
  • rivolgersi sempre ad un medico veterinario per avere consigli sulla scelta dei presidi migliori e far controllare regolarmente il cane al fine di verificare che non sia stato infettato
  1. Vaccinazione

Il vaccino ha cambiato radicalmente l’approccio alla prevenzione della patologia, perché a differenza dei repellenti protegge il cane dall’interno, potenziando il sistema immunitario, rinforzandolo e riducendo così il rischio per il cane di contrarre la malattia.

Insieme per contrastare la Leishmaniosi

Nella cura, ma soprattutto nella prevenzione di questa patologia, il dialogo tra il proprietario e il medico veterinario è determinante. Ti suggeriamo di rivolgerti sempre al veterinario sia per attuare la profilassi che per avere informazioni sul progresso delle metodologie di contrasto alla Leishmaniosi, come il vaccino. In Clinica troverai un’intero team dedicato alla medicina preventiva che saprà guidarti nella scelta migliore per il tuo cane.

 

La laser-terapia in medicina veterinaria

Cos’è il laser?

Il laser non è nient’altro che luce. Il termine “LASER”, infatti, è un acronimo che sta per “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation” ovvero “amplificazione della luce mediante emissione stimolata di radiazione“.
Questo particolare tipo di raggio di luce ha trovato applicazione nella medicina umana fin dagli anni ‘70 del ‘900. Da allora è entrata nell’uso corrente e al giorno d’oggi viene utilizzata in moltissime branche specialistiche: dalla medicina estetica alla dermatologia, dalla chirurgia oculistica alla medicina riabilitativa, dall’odontoiatria alla scleroterapia. La laser terapia è stata quindi adottata anche dalla medicina veterinaria.

Curare con la luce: l’uso terapeutico del laser

La laser-terapia, o fotobiomodulazione, sfrutta l’energia fotonica penetrante per ottenere un cambiamento nel tessuto animale (o umano) colpito dal raggio luminoso.
La maggior parte dei dispositivi veterinari utilizzati emette luce tramite un processo di amplificazione ottica basata sull’emissione di radiazioni elettromagnetiche; in altre parole, questi macchinari sono sorgenti di radiazioni elettromagnetiche che emettono energia sotto forma di fotoni.
La luce prodotta riesce a penetrare all’interno del corpo dell’animale e a produrre un “cambiamento”.
Questa proprietà del laser trova interessanti risvolti pratici nella professione veterinaria sia in ambito clinico sia chirurgico e il ricorso agli strumenti basati su questa tecnologia si sta diffondendo su larga scala.
Il successo della laser terapia in veterinaria è legato ad alcuni indiscutibili vantaggi:

  •  L’assenza di invasività della pratica: il ricorso al laser, infatti, rende non necessaria sedazione o anestesia
  • L’assenza di dolore legato alla sua applicazione
  • La quasi completa assenza di effetti collaterali (l’unica assoluta controindicazione rimane l’esposizione diretta degli occhi per cui si rende necessario indossare sempre speciali occhiali durante la seduta).

Laser terapia in veterinaria:‌ veniamo alla pratica

Sono molti gli effetti terapeutici dei trattamenti laser impiegati nella medicina veterinaria: l’alleviamento del dolore e dell’infiammazione, l’immunomodulazione e la stimolazione della guarigione delle ferite e della rigenerazione tissutale.

Alleviamento del dolore

La fotobiomodulazione può essere un’importante componente dell’approccio multimodale al dolore grazie alla sua capacità di bloccare diverse risposte biochimiche e fisiologiche lungo la via di conduzione dello stimolo dolorifico.

Il laser può quindi essere utilizzato con buoni risultati nel trattamento del dolore acuto o del dolore cronico (ad esempio dolorabilità del cavo orale, auricolare, addominale, cervicale, articolare…).
Possiamo intervenire anche sul dolore post-operatorio grazie alla capacità di riduzione dello stimolo infiammatorio con l’utilizzo del laser sia in sede intra-operatoria sia post-operatoria .

La guarigione delle ferite

Un’altra interessante applicazione della laser-terapia riguarda la capacità di ripristinare la normale funzione biologica delle cellule stressate o danneggiate.

Gli effetti cellulari della terapia fotobiomodulatrice possono essere classificati in primari, ovvero luce-indotti, e secondari:

  • Effetti primari: una reazione fotochimica diretta avviene quando i fotoni emessi dal laser colpiscono i mitocondri e le membrane cellulari e l’energia fotonica viene assorbita da cromofori endogeni e convertita in energia chimica all’interno delle cellule.
  • Effetti secondari: sono portati dall’amplificazione delle fotoreazioni primarie. Vengono stimolati il metabolismo cellulare e la regolazione della via di conduzione di segnali responsabili della guarigione delle ferite come migrazione cellulare, sintesi di DNA e RNA, mitosi e proliferazione cellulare.

Tutto ciò determina cambiamenti fisiologici a livello cellulare come l’attivazione di fibroblasti, macrofagi e linfociti, rilascio del fattore della crescita e rilascio di neutrasmettitori, vasodilatazione e sintesi del collagene.

In altre parole, il laser ha la capacità di stimolare e accelerare la riproduzione e la crescita cellulare grazie a una riparazione più veloce dei tessuti danneggiati e alla regolazione della risposta infiammatoria.
Grazie al laser durante il processo di guarigione delle ferite assistiamo a:

  • Formazione di un plug contenente piastrine e fibrina;
  • Invasione della ferita da parte di neutrofili, monociti e macrofagi;
  • Proliferazione di cheratinociti e fibroblasti dal bordo della ferita
  • Formazione di tessuto di granulazione
  • Maturazione del tessuto di granulazione e delle fibre di collagene e vascolarizzazione

Terapie dermatologiche (ma non solo)

La laser-terapia trova ottime applicazioni in dermatologia, grazie alle capacità antinfiammatorie e immunomodulatrici, in particolare nel trattamento di:

  • granulomi da leccamento
  • “hot-spot” o piodermiti superficiali
  • ascessi o fistole delle ghiandole perianali
  • pododermatiti

… e non solo. La dermatologia ad oggi è forse il campo in cui la fotobiomodulazione è maggiormente conosciuta ed applicata ma le potenziali applicazioni della laser-terapia sono innumerevoli.
Esistono studi sull’efficacia di questa tecnica per infiammazioni orali come parodontiti o stomatiti feline, disordini muscoloscheletrici e osteoartriti, per le affezioni di alte e basse vie respiratorie (asma felina, collasso tracheale, tracheiti…), per le condizioni neurologiche (dolore neuropatico, neoplasie intracraniche, mielopatia degenerativa…), per le problematiche addominali (prostatiti, gastriti, cistiti, pancreatiti…), addirittura può essere utilizzata con efficacia in seguito a morsi di vipera.

Pododermatite in un coniglio. Si può osservare il miglioramento della condizione podale in 3 sedute distanziate di circa 7 giorni.

Applicazioni del laser terapeutico negli animali non convenzionali

Le esperienze di laser terapia nella clinica veterinaria

In questo ampio panorama di applicazioni la Clinica San Paolo sta attualmente sfruttando l’efficacia del laser per il trattamento di molte patologie, anche quelle che riguardano i cosiddetti “animali non convenzionali“.

Un ambito in cui stiamo ottenendo ottimi risultati è la cura della pododermatiti dei conigli.
La pododermatite è una patologia estremamente diffusa tra i nostri conigli domestici sia a causa della conformazione dei piedi, dove manca il cuscinetto plantare tipico invece di cani e gatti, sia per il tipo di terreno su cui sono costretti a camminare per via della vita in appartamento.
Abbiamo evidenziato importanti miglioramenti della condizione podale già dai primi trattamenti, con importante diminuzione dell’iperemia cutanea, dell’edema e della dolorabilità della parte.

Ferita aperta in una cavia. Si piò osservare l’evoluzione della cicatrizzazione della ferita in 10 giorni (3 sedute di laser-terapia a distanza di 5 giorni).

Un’altra applicazione molto utilizzata sugli animali non convenzionali riguarda l’acceleramento della guarigione delle ferite, in particolare di quelle chirurgiche. Tra gli animali non convenzionali risulta particolarmente complessa la cicatrizzazione di siti chirurgici di cavie, ratti e criceti a causa della difficoltà ad impedire l’auto-asportazione dei punti. Su queste specie abbiamo iniziato ad utilizzare il laser già nell’immediato post-operatorio e abbiamo osservato una notevole diminuzione dei tempi di cicatrizzazione.

Da non dimenticare inoltre il potenziale utilizzo della laser-terapia nelle ferite aperte, al fine di decontaminare e stimolare la cicatrizzazione di ferite/siti chirurgici il cui processo di cicatrizzazione non sta procedendo nel modo desiderato.

Lo chiamavano bocca di rosa…

Principali problemi dentali e parodontali: il tartaro in cane e gatto

Ogni giorno i nostri animali di casa condividono con noi gli spazi più intimi. Ci leccano, ci baciano quando rientriamo da lavoro, spesso dormono addirittura nei nostri letti.
Vi è mai capitato in queste situazioni di condivisione di percepire un odore nauseabondo provenire dalle loro bocche?

Ad un veterinario viene subito in mente questa domanda, perché si tratta quasi sempre del primo e unico motivo che spinge le persone a portare i propri amici dal veterinario per un controllo orale. Ma attenzione: noi sappiamo che quando questa situazione si verifica, purtroppo, è già tardi.

Infatti l’odore sgradevole e’ il segnale di una forte infiammazione associata alla fermentazione batterica. Sapevate che nella bocca di uno dei nostri animali possono annidarsi fino a quattrocento, cinquecento specie diverse di batteri?

Questi organismi si replicano a dismisura nella cavità orale e sono causa delle cosiddette malattie dentali e parodontali.
Ecco come fanno:

  • prima si crea la placca dentale: si tratta di una pellicola asettica, di probabile origine salivare, che ricopre i denti e crea un terreno perfetto per la crescita dei microrganismi. 
  • La pullulazione dei microrganismi porta ad un ispessimento della placca e alla conversione ad un metabolismo batterico in anaerobio con produzione di sostanze acide che vanno a ledere lo smalto dentale.  
  • La placca mineralizza e si forma così il temuto tartaro. Nei nostri animali si presenta molto spesso e di colore marroncino. 
  • Al di sotto dello stato di tartaro prosegue la replicazione batterica. I batteri aggrediscono anche le gengive infiammandole e creando retrazione gengivale, esposizione della radice dentale ed indebolimento del sottile osso alveolare che contiene i denti bene incastonati in mandibola e mascella.

Questo processo rende i denti mobili e, a lungo termine, ne causa la caduta. 

Gravi infezioni dentali possono purtroppo portare anche a dolore intenso orale e a diffusione  per via ematica dei batteri su organi vitali causando gravissimi problemi renali, polmonari e cardiaci in particolare.
Va inoltre sottolineato che questo processo e’ decisamente più’ rapido nei cani di piccola taglia.

Noi umani riusciamo a prevenire in modo efficace questi problemi grazie all’igiene orale quotidiana ed recandoci almeno una volta l’anno per una corretta detartrasi dal dentista.
I nostri animali, invece, oltre a non sentire la necessità di lavarsi i denti, sono soliti lamentarsi poco e convivere silenziosamente con questo problema. Questo è il motivo per cui ci accorgiamo sempre in ritardo che qualcosa non va.

Cosa possiamo fare per risolvere il problema del tartaro di cani e gatti?

  1. informiamoci: facciamo domande al veterinario, che sarà felice di fornire le corrette informazioni riguardo lo stato attuale della bocca e dei denti del nostro animale
    Durante la visita annuale sarà sempre cura del medico eseguire una corretta ispezione del cavo orale e valutare lo stato gengivale, l’accumulo di tartaro e la presenza eventuale di altre patologie come le neoplasie orali (purtroppo non esistono solo placca e tartaro).
  2. Preveniamo: ci sono alcuni accorgimenti che ci aiutano a prevenire e rallentare il problema. Oggi sono disponibili presidi efficaci per la spazzolatura e la pulizia, oppure presidi dietetici che rallentano la formazione della placca (diete o integratori). Il normale cibo secco non sembra svolgere una prevenzione efficace rispetto a quello umido.
  3. Curare: risolvere una sofferenza silenziosa.
    Quando possibile, in caso di gengivite possiamo consigliare di ricorrere a farmaci antinfiammatori o antibiotici per dare sollievo immediato al paziente. Se poi risulta necessaria la pulizia orale l’unico modo efficace per farlo è l’ablazione – cioè la rimozione – del tartaro con ablatore ad ultrasuoni in anestesia gassosa. 

Rimozione del tartaro in anestesia:

Non si tratta affatti di una procedura di serie B! Comporta gli stessi rischi anestesiologici di un intervento chirurgico e va effettuata con determinate precauzioni:

  • paziente intubato e su tavolo inclinato per la sicurezza anestesiologica e per evitare respirazione di detriti infetti.
  • dotazione di strumentazione dentistica di qualità con frese e trapani per effettuare eventuali estrazioni (i denti con le radici esposte vanno estratti!)
  • valutazione attenta di tutti i denti e delle tasche parodontali (gengivali)
  • eventuali ricostruzioni chirurgiche delle gengive

Attenzione: non abbinare alla detartrasi altri interventi chirurgici per evitare diffusione batterica sui siti di intervento (una volta eliminato il tartaro le gengive sanguinano e attraverso le lesioni i batteri possono finire sui siti dell’intervento chirurgico portati dal flusso sanguigno!). E’ una pratica assolutamente da sconsigliare, meglio due anestesie o se possibile risolvere prima il problema piu’ importante.

E per il gatto?​

Vale tutto quello che abbiamo detto riguardo al cane, anche se la deposizione di tartaro è piu’ lenta ed ha un’incidenza minore.

Nel gatto sono molto frequenti lesioni orali su base virale (calicivirosi), oppure su base linfoplasmacellulare o autoimmune.

Infiammazioni di questo tipo portano spesso ad intenso dolore ed alla caduta molto precoce di tutti i denti. E’ bene quindi durante la visita eseguire un controllo della bocca anche nei felini, sempre che essi siano d’accordo… le mani ovviamente le offre il vostro veterinario con il solito sprezzo del pericolo!